Cronaca

In Sicilia una donna su due non denuncia le violenze subite. I numeri inquietanti del report della Spi Cgil

Più della metà delle violenze familiari in Sicilia riguarda donne over 65. È un grido d’allarme quello che lancia lo Spi Cgil Sicilia, che ha condotto un’indagine coinvolgendo circa ottomila utenti, di cui quasi seicento nell’Isola. I risultati dell’indagine a cura di Davide Dazzi e Assunta Ingenito, ricercatori Ires Emilia-Romagna sono stati presentati nel corso del convegno La violenza che non fa rumore, un confronto che la segreteria del sindacato ha voluto dedicare alla memoria di Angela Bottari, madre dell’abolizione del delitto d’onore e dell’istituzione del reato di stupro, scomparsa in settimana nella sua Messina. A intervenire al dibattito Concetta Raia e Maria Concetta Balistreri della segreteria Spi Cgil Sicilia, il ricercatore Davide Dazzi, la deputata regionale Pd Valentina Chinnici, la presidente della onlus Le Onde, Maria Grazia Patronaggio, la psicoterapeuta Luisa Benincasa, il coordinatore dell’Udu Palermo Valerio Quagliano, Gabriella Messina, della segreteria regionale Cgil, mentre le conclusioni sono state affidate a Claudia Carlino, componente della segreteria nazionale Spi Cgil.

Tra i dati che emergono dallo studio sulla violenza di genere, a fronte del 60,4 per cento delle donne del campione in Sicilia (64,8 per cento in Italia) che ha subito almeno un comportamento violento nell’arco della vita, solo il 27,5 per cento del campione maschile in Sicilia (32,8 per cento in Italia) dice di aver commesso o messo in atto un comportamento violento. In una graduatoria delle fattispecie di violenze subite più diffuse, il primo posto nel campione siciliano è relativo a offese e critiche perché «parla con un altro uomo» (34,7 per cento) mentre nella graduatoria dei comportamenti violenti più largamente messi in atto dagli uomini del campione in Sicilia primeggia l’indifferenza volta allo svilimento della donna (15,4 per cento) così come in Italia (11,4 per cento). La larga maggioranza delle violenze subite si concentra prima dei 30 anni delle donne o comunque prima dei 60 anni. Sebbene dentro percentuali minori, le violenze subite dalle donne over 60 dopo i 60 anni sono raramente casi episodici, ma si ripetono dove è già presente una storia di violenza.

Molto spesso a mettere in atto i comportamenti violenti sono in primo luogo gli ex partner e partner attuali. In caso di violenza, in media una donna su tre in Italia e una donna su 2 in Sicilia preferisce non parlarne e se ne parla tendenzialmente lo fa con amici o familiari. L’indagine si conclude chiedendo di individuare tre priorità e il campione nazionale e regionale converge su tre assi di intervento: avviare percorsi di sensibilizzazione contro la violenza di genere nelle scuole (64 per cento in Sicilia e 77,3 per cento in Italia), favorire l’emancipazione economica e sociale delle donne sostenendole nella formazione e nell’accesso al mercato del lavoro (54,4 per cento in Sicilia e 59,7 per cento in Italia) e irrigidire le misure/pene verso chi commette violenza (45,1 per cento in Sicilia e 42,2 per cento in Italia).

L’allarme è, appunto, sul silenzio attorno a un fenomeno che è invece straordinariamente diffuso. «Registriamo ancora oggi una difficoltà alla denuncia, all’emersione – osservano dalla segreteria regionale del sindacato Raia e Balistreri – dovuta probabilmente dalla percezione di vivere un presente non destrutturabile e un futuro di libertà impossibile».

Balistreri e Raia evidenziano che parliamo di «donne che hanno portato avanti la loro relazione in un periodo in cui la violenza tendeva a essere giustificata. Oggi sono più consapevoli e hanno meno paura di denunciare grazie alla presenza dei centri antiviolenza nel territorio. Queste strutture vanno ulteriormente potenziate e le donne incentivate a far venire allo scoperto eventuali situazioni di violenza in famiglia». Nel 2022 sono state 2185 le donne siciliane che si sono rivolte al numero verde 1522, con un aumento delle chiamate negli ultimi mesi.

Oggi i centri antiviolenza in Sicilia sono 28, 54 le strutture a indirizzo segreto e 31 gli sportelli di ascolto. Guardando al numero complessivo delle denunce si vede che quelle per stalking sono nell’Isola 42,84 su 100 mila abitanti (Italia: 29,04 su 100 mila abitanti) e le denunce per maltrattamenti da familiari conviventi 50,92 su 100 mila abitanti (Italia: 37,43). Nel 2021 13 donne sono state uccise, nel 2022 12 donne, nel 2023 (a oggi) 12 vittime di cui due sono ultrasessantenni. L’86 per cento dei delitti è avvenuto in ambito familiare.

«Purtroppo, solo il 18 per cento delle donne che subiscono violenza chiede aiuto e denuncia il partner o familiare che sia – aggiungono Balistreri e Raia – e questa quota diminuisce quando si tratta di donne anziane. Tutto questo non può essere più taciuto». Lo Spi Cgil sollecita il governo regionale ad «aumentare il numero dei centri antiviolenza e delle case rifugio. Pensiamo che vadano creati spazi dove poter andare quando si ha bisogno di parlare con qualcuno. Riteniamo anche necessari, visti i numeri del fenomeno della violenza sulle donne anziane, più progetti per contrastarla, prevedendo anche protocolli specific».

«È un problema di tutte e tutti, non è facile la sfida. I numeri continuano a crescere e fare paura, eppure in Parlamento c’è una proposta di legge sull’educazione sentimentale nelle scuole – osserva Messina – non ne parla nessuno, non è interesse di questo governo. È su quello, che dobbiamo lavorare e insistere».

Le conclusioni sono state affidate alla segretaria nazionale Carlino, che si è soffermata sul gender gap in campo medico: «C’è una condizione che in questo Paese tarda ad essere accettata: la medicina di genere. C’è una differenza di genere significativa, occorre un intervento nella cura, nella diagnosi, tenendo conto della differenza biologica tra uomo e donna. I sintomi per l’infarto tra uomo e donna sono completamente diversi, le donne sono meno predisposte, ma in percentuale muoiono di più perché non riconoscono i sintomi. Di tutto questo si parla troppo poco, non c’è questo approccio negli studi universitari. La strada è ancora lunga».

Redazione

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