In Italia la democrazia in pericolo?

Nei giorni scorsi i maggiori media hanno riempito le prime pagine con notizie circa la nomina, da parte del Presidente del Consiglio, Enrico Letta, di un gruppo di “saggi”. In realtà, però, poco o niente è stato detto circa le reali motivazioni di queste nomine e circa il ruolo che queste persone dovranno svolgere nella gestione della cosa pubblica.

Più persone si sono chieste il perché di una simile decisione. E in effetti il dubbio è legittimo dal momento che già alcuni dei Ministri del Governo Letta sarebbero stati scelti perché “esperti” e competenti: non si spiegherebbe altrimenti la presenza, all’interno del Consiglio dei Ministri, di personaggi come, ad esempio, la Bonino, soggetto di grande esperienza, ma membro di un partito che non ha raggiunto nemmeno il numero di voti necessari per avere un rappresentante in Parlamento; o di Francesco D’Onofrio, esponente dell’Udc (anche questo partito praticamente scomparso dopo le ultime elezioni politiche).

Invece il Governo, di fronte alla decisione di portare avanti il processo di riforme istituzionali (già avviato, anche se con modi diversi, da Monti), ha ritenuto indispensabile conferire l’incarico di assistere tecnicamente il Parlamento a una trentina di esperti. In realtà, il Parlamento disporrebbe già di tecnici (da noi pagati) e il cui ruolo sarebbe proprio quello di assistere i politici eletti dai cittadini nella realizzazione di queste modifiche.

Non solo. Il Governo aveva già deciso di istituire una Commissione bicamerale composta da membri della Camera dei Deputati e da Senatori. Quindi, oltre ai tecnici di cui sono dotate le due Camere, oltre ai membri del Parlamento e oltre alla Commissione, perché si è vista la necessità di servirsi della consulenza tecnica di esperti esterni?

Come mai il precedente Governo Monti, che pure ha fatto delle “riforme istituzionali”, tanto da modificare non uno, ma ben tre articoli della Costituzione non ha ritenuto necessario servirsi della consulenza di “saggi” per fare qualcosa che in realtà, in quanto Governo tecnico, non avrebbe neanche dovuto fare?

Potrebbe trattarsi di eccesso di zelo da parte del Governo attuale o di superficialità (per essere eufemistici) del Governo precedente. Eppure le modifiche alla Costituzione che il signor Monti ha proposto e fatto approvare in Parlamento non erano di secondaria importanza o superficiali, riguardando temi come il numero dei parlamentari, l’istituzione in Senato di una commissione per le questioni regionali, l’iter procedurale per l’approvazione dei disegni di legge, il conferimento di maggiori poteri al capo del Governo.

Sorge spontaneo il dubbio che il motivo per cui il Governo Letta ha deciso di istituire una Commissione di saggi (e non di esperti) non riguardi affatto la necessità di servirsi di ulteriori pareri tecnici per le modifiche istituzionali da effettuare, ma che sia un ulteriore passo verso uno stravolgimento dell’intero sistema di gestione della cosa comune così com’è oggi.

Del resto, il sistema che dovrebbe portare alle modifiche istituzionali, così come proposto dal Governo Letta, pare essere lento e farraginoso. Diversi segnali in questo senso si sono già avuti: lo stesso iter che dovranno seguire le riforme è oggetto di un disegno di legge e così pure la Commissione parlamentare che dovrà valutare le proposte dei “saggi” e che sarà istituita con legge.

Come mai, mentre si pone tanta attenzione sulle procedure per alcune modifiche istituzionali (l’iter dovrebbe avere una durata non inferiore ai diciotto mesi), da un lato non si parla più di modifiche alla legge elettorale (che, così com’è, evidentemente, non dispiace a chi governa), e, dall’altro, si apportano, subito e senza tanto clamore (e senza alcun suggerimento da parte di alcun “saggio”, modifiche istituzionali a leggi come quella per concedere aiuti economici consistenti ai partiti politici?

Forse ha ragione la politogola, Nadia Urbinati, quando, in una recente intervista, ha sottolineato come, mentre, da un lato, cresce lo scetticismo per l’aspetto normativo e procedurale e i tecnicismi, dall’altro, ad essere oggetto di scontro e confronto tra i partiti politici, non sono più le ideologie, ma la democrazia stessa come se fosse un’ideologia e quindi “criticabile da parte di altre ideologie, trasformabile in qualcos’altro”.

Oggi il problema non è più come gestire la cosa comune, ma se a gestirla deve essere il popolo o pochi soggetti. E allora, per evitare che possano manifestarsi reazioni di protesta a questo Governo di pochi per il popolo (e non per mezzo del popolo), le strade sono due: o, come durante il Governo Monti, si prendono decisioni che interessano tutta la popolazione, senza nemmeno consultare il popolo (ma intervenendo “d’urgenza” nascondendosi dietro l’alibi dello stato di emergenza), oppure si apportano sostanziali modifiche al sistema di gestione della cosa comune. E per farlo ci si nasconde dietro la scusa che la democrazia è inaffidabile e incapace di risolvere problemi che sono sempre più tecnici, specialistici, specifici e che, quindi, richiedono competenze e sapere tecnico.

Fattori, questi, di cui i soggetti delegati dal popolo con elezioni democratiche non dispongono. E, quindi, è necessario incaricare soggetti “super partes”, come l’attuale capo del Governo (e come avrebbe voluto essere Monti), e scegliere coloro i quali dovranno suggerire le politiche da adottare “per il bene del Paese” non sulla base di ideologie e di scelte politiche (giuste o sbagliate che siano, come sarebbe giusto in una democrazia basata sul consenso popolare), ma in ragione della loro competenza, vera o presunta.

Così facendo, al principio egualitario che è alla base di un sistema democratico, si sta sostituendo, passo dopo passo, il principio gerarchico e, quindi, è necessario che a fare le scelte siano pochi saggi. In questo modo il compito del Parlamento, in cui risiedono soggetti mai eletti democraticamente, ma solo “incaricati” dai leader dei singoli partiti e non in base alla volontà popolare (di fatto praticamente nessun partito ha adottato o rispettato la scelta dei propri iscritti mediante primarie trasparenti, base essenziale del sistema elettorale oggi in uso in Italia) verrà così ridotto semplicemente alla ratifica delle scelte proposte dai “saggi”.

Esattamente come è avvenuto con il governo Monti, delegando le scelte di base ad un gruppo di “saggi” (forse è proprio per questo motivo che il termine “tecnici” è stato evitato, per evitare il paragone con quanto fatto durante il Governo Monti) Governo e Parlamento si sono sottratti al giudizio politico degli elettori. Non solo, ma nascondendo le scelte e le decisioni adottate dietro lo scudo della motivazione tecnica (base dei suggerimenti dei “saggi”), sarà possibile giustificare le decisioni che verranno prese e evitare che il Parlamento e il Governo possano essere caricati della responsabilità di ciò che hanno imposto agli italiani.

È chiaro allora quale sia il motivo del perdurare del Porcellum come strumento (sbagliato e inefficace) per scegliere i rappresentanti del popolo. È lo stesso che ha portato l’attuale capo del Governo a istituire il gruppo dei “saggi” e a delegare loro il compito di scegliere quale dovrà essere il futuro del nostro Paese. Fine ultimo di questi strumenti è quello di far decadere l’importanza del consenso elettorale e, in questo modo, di evitare qualsiasi giudizio politico sulle scelte di chi è al Governo che, in questo modo, potrà prendere decisioni difficili da accettare per la popolazione nascondendosi dietro lo scudo del parere dei saggi.

Come detto prima, forse sarebbe il caso che gli italiani diventassero un po’ più “saggi” e costringessero quelli che hanno eletto ad assumersi le proprie responsabilità e a rispondere di ciò che hanno fatto negli ultimi decenni all’Italia e agli italiani.

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