Il volto dell’anima

SABATO 5 E DOMENICA 6 APRILE NEL PADIGLIONE TINEO ALL’ORTO BOTANICO, NELL’AMBITO DELLA OTTAVA EDIZIONE DE LA ZAGARA, UNA INTERESSANTE MOSTRA DI DANILO ALTESE E ANTONELLA SGRILLO

di Daniele Licciardello

Come il volto è l’immagine dell’anima, gli occhi ne sono gli interpreti.
M. T. Cicerone

Osservando l’opera di Danilo Altese appare evidente che lo stilema focale della sua espressione artistica sia rappresentato dal volto e, segnatamente, da un particolare anatomico: l’occhio.
Utilizzando colori raggrumati, polveri, carta, persino liquido seminale in qualche caso, e altri materiali sparsi sulla tela in maniera veloce e vibrante, con accostamenti cromatici perfettamente accordati, l’artista profila un itinerario intimo in cui ciò che è vitale cambia drasticamente di segno: la luce lascia spazio a ombre crepuscolari e macabre, le belle forme soccombono mutandosi in aberranti figure, dal sogno irenico si cade nell’incubo profondo, dove l’apollineo è sbaragliato a forza dal dionisiaco. Accade così che anomalie genetiche invadano la tela; e l’occhio diventi monocolo, dilatatore della realtà, canale di esperienza, simbolo di solitudine e angoscia. Come Edipo, che per senso di colpa si priva della vista, così, gli occhi impressi sulla tela – simboleggiando l’esperienza della devastazione – sembrano chiudersi alla realtà esteriore, logica e concreta, per evocare invece le dimensioni più oscure dell’animo umano.
“Il sonno della ragione genera mostri”, per citare Goya e il frontespizio dei “Capricci”.
Quando l’uomo è dominato dall’ottimismo imperante, dai falsi sorrisi, dal desiderio di nascondere il male, si acquieta, fluttuando nella convinzione che l’universo ruoti attorno al proprio mondo patinato. Se per un istante, invece, la logica viene abbandonata e ci si affaccia nel buio a occhio nudo, si scorge allora un universo di stoltezza, d’insania, di dolore e di morte: e se scorge la follia. L’occhio che ha visto diviene dunque, sul supporto pittorico, l’emblema del mostro-vita, delle sue asimmetrie, della sua sregolatezza. Ecco sorgere così orbite spiraliformi, vertigini, turbini rapidi e incalzanti che trascinano l’osservatore sgomento verso la tristezza, la sopraffazione, l’impotenza.

L’opera intera dell’artista sembra scaturire da una matrice liberatoria, apotropaica, quasi una terapia dell’emergenza inconscia, un esorcismo interiore: solo dando voce ai recessi dell’anima si può giungere alla catarsi, formando vivida materia espressiva che sia spunto di profonda riflessione.
L’anima può assumere svariati volti, e si racconta attraverso connotati fisici che ne restituiscono la dimensione timica: la deformazione dei lineamenti del viso rende così palese la fusione fra anima ed esperienza del tormento. Il che può anche spaventare il fruitore più corrivo, laddove sembra invece ammaliare l’artista stesso, che con estremo vigore realizza spavaldamente la sua esplorazione, ostentando lo sconvolgente e perturbante mistero dell’inconscio, e costringendo così il fruitore a guardare con i propri occhi, anche solamente per un istante, il buio della sua stessa ragione. Tramite l’opera, l’artista e l’osservatore si ritrovano insieme in uno spazio che è parte di una più vasta rappresentazione: un teatro, una scena, la ribalta della complessa condizione umana.
L’anima, soffio vitale del corpo, diviene viepiù generatrice di emozioni, molla propulsiva di flussi inconsci e di ancestrali reminiscenze.

La forma dell’anima

Nulla guarisce l’anima salvo i sensi
O. Wilde

 

La concezione aristotelica che postula la coincidenza dell’anima con la forma, sembra si addica alle opere di Antonella Sgrillo. Se l’anima e la forma sono coincidenti, la visione dell’artista risveglia l’innata tendenza dell’uomo all’armonia, all’eleganza, al bello. Attraverso sapienti velature e cromatismi ora contrastanti, ora consonanti, la sensibilità dell’artista trova il canale più rappresentativo per l’esposizione della felice confluenza fra intimità ed esteriorità.
Le geometrie, che nella la produzione più antica rappresentano rifugio e griglia rassicurante, si confrontano adesso con le sfumature e gli sfondi indefiniti sui quali campeggiano striature fitomorfe. Il vecchio sistema cartesiano adesso ricompare attenuato, indistinto, incapace di restituire il rigore evocato dalla produzione precedente. Un soffio di rinnovamento nell’anima ha stravolto le trame intime esplorate da Antonella e le ha ricomposte in un nuovo magma creativo la cui espressione artistica guadagna una dimensione estroversa, fluida, permeabile.

 

Ricýclo

Dall’incontro di due personalità artistiche così diverse e contrastanti nasce un dialogo fra opposti animati dalla stessa percezione del mondo. Pur con approcci apparentemente discosti, entrambi seguono un filo comune che li pone in una rielaborazione dei loro percorsi creativi alla quale assistiamo oggi, e che li porta all’idea del riciclaggio delle scatole di cartone ad uso artistico.
Tecniche personalissime e materiali anche contrastanti vengono sfruttati da Antonella per ottenere gli effetti voluti. Sovrapponendo strati di colore e vernici trasparenti su fotocopie di dettagli fotografici, Antonella ottiene i risultati di compattezza e di completezza che donano alla scatola una nuova veste, quella dell’opera compiuta. Lo stesso accade quando, senza sbavature o imprecisioni, applica segnalibri, ritagli pubblicitari, bottoni, fibbie, carta da parati, stoffa.

Di contro, il mondo alterato e perturbante di Danilo, nell’approccio al riciclaggio si confronta con nuovi spiragli di rinnovamento artistico. La sua proteiforme attività pittorica, sfidando se stessa, giunge a contemplare un nuovo confronto espressivo con l’agilità creativa che lo contraddistingue: la decorazione. Appena accennato nelle opere precedenti, il decorativismo, un tempo sfumato, affrettato e adirato, diviene adesso il tramite per interpretare il mondo circostante in maniera più conciliante, più aperta alla possibilità di intravedere spiragli di luce nella caotica condizione esiste quindi volti eleganti e composti, sofisticate figure femminili e appannate figure maschili; copricapi e gioielli, fiori e tatuaggi, colori netti e campiture decise.


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