Secondo la valutazione fatta dal gip Salvatore Mastroeni, il 21enne deputato è diventato ricchissimo essendo consapevole delle «recentissime operazioni illecite, spericolate se non grottesche». Non quindi un semplice beneficiario, ma un attore protagonista del piano
Il sequestro ai Genovese, il ruolo del giovane Luigi «Eredita impero agendo allo stesso livello del padre»
Dietro al maxi sequestro da 100 milioni di euro eseguito ieri dalla guardia di finanza di Messina, nei confronti quella che è stata definita dal gip Salvatore Mastroeni, «la dinastia Genovese», si delinea sempre secondo il magistrato «la faccia della criminalità che vive nei piani alti e nei salotti buoni delle città, con abiti eleganti e quei grandi mezzi dalla capacità attrattiva immensa, non certo emarginata come i ladri di strada, con la differenza però fornita dal dato economico che disvela le vere capacità criminali».
Nelle 178 pagine dell’ordinanza emerge la figura di Luigi Genovese, rampollo della famiglia messinese, appena eletto deputato al parlamento siciliano con oltre 17mila preferenze. Voti ereditati dallo zio Franco Rinaldi, che a sua volta li aveva avuti dal cognato Francantonio. Ma per gli inquirenti Genovese junior ha ricevuto soprattutto con «recentissime operazioni illecite, spericolate se non grottesche», denaro che il padre vuole salvare dall’aggressione del fisco, a cui Francantonio Genovese doveva circa 20 milioni di euro. Secondo gli inquirenti per aggirare il pagamento il parlamentare forzista provvedeva a svuotare società e conti, restando con «solo 800mila euro a fronte di 18 milioni iniziali e del debito corrispondente nei confronti dello Stato».
«Dopo la scoperta dei fondi esteri (e anche dopo la condanna a 11 anni subita dal tribunale di Messina), con la complicità del proprio nucleo familiare, ha operato su tre distinti fronti». Cominciando col mettere al sicuro i fondi neri detenuti all’estero. Quindi procedendo con il disfarsi di quelli aggredibili giuridicamente, trasferendoli ai figli e al nipote Marco Lampuri. E infine trasferendo tutto il patrimonio posseduto «attraverso le società schermo, attribuendo fittiziamente la titolarità al figlio Luigi, «attraverso operazioni societarie dall’evidente natura strumentale per sottrarli alle pretese del fisco e della giustizia penale».
Per farlo ruolo chiave assume Genovese junior, che sarebbe stato consapevole delle illecite operazione e che altrettanto consapevolmente «diventa ricchissimo, firmando – scrive il gip – atti e partecipando alle manovre del padre». Secondo il giudice ci sarebbero le premesse perché il figlio segua il percorso del padre, lo dimostrerebbero «la ricchezza improvvisa, l’ingresso in politica, il modo spregiudicato di acquisizione della ricchezza».
«Egli – si legge nell’ordinanza – ha svolto un ruolo centrale in tutta l’operazione, essendo il soggetto destinato a subentrare in tutti rapporti economici con questa funzione ad operare ulteriori riciclaggi e sottrazioni in frode al fisco della garanzia patrimoniale del padre». Il gip arriva quindi alla conclusione: «In una parola se l’impero economico di Genovese si caratterizza ormai per illeicità e reati, Luigi Genovese è l’erede designato a raccogliere l’eredità di tutto ciò, e non già un mero beneficiario ma agendo con comportamenti dello stesso livello del padre, con alta proiezione di rischio di reiterazione».