Il ricordo di Vincino l’impresentabile: 50 anni di satira «Non smetteva mai di disegnare, quel mattacchione»

«L’Italia è in un enorme, completo, totale conflitto d’interessi che non vogliamo vedere. Genova è l’immagine dell’Italia. Questo è un Paese disperato, che costruisce immagini disperate». Raramente le ultime parole di una persona sono le più significative. Eppure l’ultimo intervento in radio di Vincino, il vignettista palermitano morto ieri all’età di 72 anni, rappresentano se non tutto comunque qualcosa di importante di uno dei più noti e apprezzati autori di satira in Italia. Vincino l’impresentabile era il nome del programma settimanale di Radio Radicale, della durata di (circa) nove minuti in cui il disegnatore raccontava quel che era successo negli ultimi sette giorni dal punto di vista del suo taccuino sempre ricco di appunti e schizzi. Mai banale, venerdì 10 agosto Vincino  – al secolo Vincenzo Gallo – ha effettuato l’ultima registrazione. La voce, già affaticata, riesce comunque a riportare una serie di riflessioni argute e acute. Come faceva già da tantissimo tempo. 

«Ha collaborato con noi dal 2015, su di lui ci sono 28 pagine nel nostro sito – dice il direttore di Radio Radicale Alessio Falconio -. La sua è stata una costante presenza accanto al mondo radicale, era stato iscritto ed era amico di tanti, da Marco Pannella a Rita Bernardini. L’idea dell’impresentabile nasce dalla lista fatta da Rosy Bindi, allora presidente della Commissione Antimafia, dei candidati impresentabili che a noi era apparsa un po’ moralista. Vincino invece era un libertario, e scelse di essere lui l’impresentabile della nostra rubrica». Era fatto così, Vincino. Seduto dalla parte del torto, o perlomeno con un punto di vista anticonvenzionale. «Era la sua rubrica, noi ci alternavamo di volta in volta ai microfoni e lui poi, accanto agli interventi in radio, ci regalava una vignetta ad hoc che abbiamo condiviso sui social». Col senno di poi, le osservazioni sul disastro di Genova potrebbero essere una specie di commiato. «Era molto profondo, aveva una capacità di lettura dei fatti che era importante. E nella fattispecie lui, che era stato un architetto, ci diede una versione accademica. Ma era molto eclettico. Ad esempio apprendemmo della strage di Charlie Hebdo praticamente in diretta. E lo trovammo che piangeva, perchè conosceva uno dei vignettisti uccisi. La storia della satira, insomma, in Italia e non solo passa da lui. Ha cominciato a girare presto, è stato da sempre un personaggio importante della scena giornalistica e culturale italiana. Purtroppo non c’è più, ma rimane tutto quello che ha fatto». 

E delle numerosissime esperienze editoriali  in 50 anni di carriera, spesso vere e proprie avventure, forse quella a cui restava più legato Vincino era Il Male, lo strepitoso esperimento di satira durato cinque anni ma capace di rivoluzionare il costume italiano, a suon di falsi d’autore e sberleffi feroci dei migliori autori all’epoca esistenti: da Vauro, poi colonna de Il Manifesto, a Riccardo Mammelli, in seguito autore fisso de Il Corriere della Sera; dal talento puro di Andrea Pazienza al “Michelangelo del fumetto” Tanino Liberatore. Il vignettista palermitano fu direttore de Il Male, in un’alternanza dovuta alla quantità enorme di querele che il giornale, fondato dallo straordinario Pino Zac, prendeva. E quell’esperienza l’aveva raccontata il giovane filmmaker ragusano Massimo Denaro nel documentario I fiori di Zac, che con Vincino ha pure calcato il red carpet della mostra del Cinema di Venezia. «Non smetteva mai di disegnare, quel mattacchione – dice con affettuoso dolore Massimo -. Sempre con le sue penne nel taschino. Se ne va una colonna della satira, spero gli rendano il giusto onore». E a chi gli rinfacciava il passaggio da Lotta Continua a Il Foglio, forse Vincino avrebbe risposto che lui era rimasto coerente ed era il mondo che era cambiato. «Davvero, umanamente si sentiva libero solo su quel giornale ormai» conferma Massimo.


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