Ci è sempre stato insegnato che la poesia è cosa per pochi, come una spezia segreta in un piatto prelibato, aggiunta dallo chef: solo i grandi estimatori riescono a distinguerla, solo loro sono in grado di carpire la magia che rende quel piatto unico, inimitabile.
La poesia è quella stella delle Pleiadi che non tutti possono, o sanno vedere. Eppure Un eterno imperfetto non dà questa impressione. Solitamente i poeti si esprimono in versi per comunicare qualcosa a se stessi od ai loro colleghi; non certo un’arte estesa alle masse, bensì racchiusa in un’élite. La nuova opera di Giovanni Orelli, edita da Garzanti, non sembra essere la solita solfa propinata alla gente col pretesto che la poesia debba essere letta perché rende nobili d’animo ed insegna a riflettere su quel che si legge, col risultato che ti ritrovi quel tomo sul comodino senza aver capito un’acca e dopo la quinta pagina ti accorgi d’esser catalettico senza averne mai sofferto fino a quel giorno. Questo libro è diverso. Per carità, non è un libro per bambini, ma sembra uno di quei pochi testi poetici che è possibile leggere senza laurea honoris causa. Il linguaggio non è in alcun modo astruso, spesso colto, ma di facile comprensione. E se non si riesce a capire, vengono in aiuto, in maniera egregia, le note delle ultime pagine del volume. Durante la presentazione del libro alla facoltà di Lingue a Ragusa Ibla, in una delle aule dell’ex convento di Santa Teresa, è apparso agli occhi del pubblico un poeta che non vuole ripiegarsi su di sé ma trasmettere al mondo storie e racconti di vita. Un uomo vicino agli ottanta anni solo dal punto di vista strettamente anagrafico: il poeta ha illustrato la propria opera in maniera decisa e senza fronzoli, una delle poche presentazioni a cui abbia assistito dove l’effetto soporifero non è riuscito ad avere il sopravvento sugli spettatori. Orelli stesso, riprendendo il motto che fu del Palazzeschi, ricordava di finirla con la poesia che ammette solo piccole violazioni della norma e di lasciar stare la poesia da professoroni seriosi, chiudendo il becco a tutti con un “e lasciatemi divertire!”. Ed in effetti leggere Un eterno imperfetto è proprio uno spasso.
I diversi capitoli sono introdotti da citazioni in lingua francese tratte da Bouvard et Pécuchet, ed il testo è suddiviso in sezioni, ciascuna delle quali è dedicata alle diverse aree dei fondamenti della lingua italiana: un binomio, quello poesia-grammatica, divertente, insolito e soprattutto imprevedibile. Ogni pagina è differente alla precedente per tempo, tema, metrica. Un continuo gioco che permette di mantenere costante l’attenzione del lettore, teso alla comprensione del testo. Gli argomenti trattati variano dal comico al drammatico, al tenero, al romantico, all’impegnato, al sensuale. Così si accostano amore e morte, eros e affetti. In particolare, il tema della dipartita finale è affrontato in maniera ricorrente, ma non si percepisce un’umana paura del sonno eterno, bensì un’accettazione dell’imperfezione dell’essere a cui si ritorna dopo il trapasso.
Molti i consigli preziosi rivolti alle future generazioni, tramite riflessioni sulla nostra società: si passa dallo tsunami all’eutanasia, al divorzio (brillante l’aneddoto dedicato al fratello Diego), alle guerre. Numerose le citazioni d’illustri autori quali Virgilio, Dante, Guicciardini, Leopardi, Gadda, fino ad arrivare a Poe, Cechov e Borges. D’altronde la letteratura è il suo pane: Orelli è studioso e docente di lettere nel Canton Ticino, sua terra natia, a cui si dedica spesso nei propri scritti, raccontando i curiosi avvenimenti di Lugano ed esprimendosi, di tanto in tanto, in ticinese. Quindi attaccamento alle proprie radici, alla propria terra, alla propria famiglia: ad essa dedica molte delle sue opere, con un incondizionato amore di padre e nonno così ovvio ma sempre stupefacente. Ed è proprio il nipote Francesco che ritorna nelle diverse pagine del libro, già protagonista delle Quartine per Francesco. Un bambino in poesia (il suo libro precedente, del 2004), comparando la propria futura condizione d’uomo in bilico tra terra e altrove a quella dell’infante ancora avvolto d’ingenuità, candore, purezza. Tutto questo ovviamente giocando con anacoluti, avverbi, preposizioni e sillabe. Infine, a mio parere fiore all’occhiello dell’opera, la parte riservata alla riflessione sull’uso della grammatica italiana, vittima di numerosi tentavi d’omicidio sempre più efferati. Ebbene, la sezione “Grammatica, si può vivere senza?” indica come unica soluzione contro la distruzione della sintassi ed alternativa alla completa trasformazione della lingua in mutante semi anglicizzato e incoscientemente parlato, un po’ di grammatica, “due gocce al dì in un bicchiere d’acqua”, semplicemente perché fa bene. Come una medicina. Per alcuni sarà un’amara bevanda, per altri uno sciroppo delizioso, ma bisogna che si prenda: lo raccomanda san Giovanni Orelli.
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