Il record impossibile, fantascienza e atletica L’ebook d’esordio del geologo Di Stefano

Gentili lettrici, amabili lettori, sono lieto di annunciarvi che questa traccia di parole legate l’una all’altra non è una semplice intervista fatta a un personaggio che merita attenzione. Non rientra nemmeno nell’ortodossia di questo tempo, né tantomeno di questo spazio. Perché ho il piacere di presentarvi Enrico Di Stefano, atleta (o forse ex), geologo, insegnante, scrittore di fantascienza, catanese, classe 1963.

Ero fermo alla conoscenza del suo studio universitario sul passato di questa terra – diplomati insieme, con tanto di indimenticabile festa finale –, sconoscendo invece quel suo prurito invincibile che lo ha portato a scrivere di futuri immaginari dal 1999, e a ricevere anche certi brillanti riconoscimenti (ha vinto il Premio Akery nel 2002, il Premio Space Prophecies nel 2005, il Premio Italia nel 2008 e nel 2009; lo scorso anno, si è aggiudicato il Premio Vegetti con il romanzo L’ultimo volo di Guynemer). E’ il prurito che prediligo e che si chiama passione.

Dunque, attraverso un mezzo ipertecnologico che permette di comunicare in silenzio e in tempo reale utilizzando movimenti particellari della materia, mi sono messo in contatto con il geologo-scrittore, scegliendo il tempo in cui abbiamo concordato di ritrovarci per questa intervista fantascientifica: sessantacinque milioni di anni, sette mesi, quattro giorni, tre minuti e otto secondi fa.

Troviamo riparo dalla pioggia costante, sotto una felce alta quanto un uomo e inizio così:
Enrico, scusa ma sono curioso di capire quale correlazione c’è tra essere geologo e diventare scrittore di fantascienza.
Di Stefano porta gli occhiali dai tempi del Permiano, che in questo umidissimo Cretaceo al tramonto si appannano di continuo. Ma lui sorride sornione e, col suo incrollabile buon umore, tenta una battuta inedita e comunque poco credibile, per questi tempi di diluvi cronici e foreste globali: «Bello tempo e cattivo tempo, non durano tutto il tempo».

Ricordo che lo spazio-tempo concessoci dalla regina Claudia dei Campi di Carta, non è smisurato, e dunque rispondo con un’altra massima incomprensibile per i dinosauri: «Enrico, il tempo è denaro. Focalizziamoci, per favore».
Di Stefano si ricompone, asciuga le lenti con una fantastica pezza di morbida pelle di un animale sconosciuto, e risponde così:
«Superficialmente potrei dirti nessuna correlazione, in particolare. In realtà, la formazione universitaria è stata determinante, dato che nelle mie storie la geografia, la ricorrenza dei fenomeni naturali e la verosimiglianza scientifica sono molto ricorrenti, in pratica punti fermi».

Chi sono stati i tuoi mentori, quando hai iniziato?
«Il polacco Stanislaw Lem, il mio preferito in assoluto. Poi Arthur Clarke e James Ballard, e certamente Ray Bradbury. In Italia, Renato Pestriniero. Ho iniziato con 2001: Odissea nello spazio, da piccolo, ossessionato da tutto ciò che era futuristico, astronavi e robot in particolare. Ho visto centinaia di film di fantascienza e se parliamo di fumetti che ho letto, dobbiamo salire di un ordine di grandezza…».

Non sento più quello che dice Di Stefano, un T-Rex sazio ha deciso di rasparsi la schiena su un affioramento di basalto poco distante, e il rumore è ciclopico. Di Stefano ride serenamente nel suo aspetto cinematografico d’incrocio tra David Attenborough e Guglielmo di Baskerville, perché sa che anche se fosse affamato, il T-Rex non potrebbe divorarci, perché siamo solo un’olografia, che la bestia vede ma non capisce. Ci guardiamo dopo questa astutissima riflessione, col fervore di avere appena fatto l’importante scoperta etimologica sul bordo del Cretaceo – la cultura sazia – in contrapposizione alla meschinità dei nostri tempi consumistici, in cui si definisce il contrario – la cultura non sazia.

Gasati, andiamo avanti, convinti di essere più che mai nel contrariamente giusto.

Il racconto che riproponi oggi come e-book (Il record impossibile, Editore Delos, ordinabile sul sito Delosstore a 0,99 euro), è il tuo d’esordio, basato su un fatto vero, in cui il filo conduttore è l’altra tua passione, l’atletica. Non s’è mai saputo niente del vero motivo che spinse James Carlton al ritiro dalle piste e all’abbraccio al sacerdozio?
«Non sono a conoscenza di ulteriori dettagli, oltre a quelli riportati nelle cronache ufficiali. Bisogna ricordare però che, ancora negli anni ’30, l’Australia era un po’ una sorta di “altrove” dove si verificavano eventi misteriosi e di difficile interpretazione. Non solo tra i nativi, ma anche tra i discendenti dei coloni europei. Non per nulla vi sono stati ambientati inquietanti film fantastici mai prodotti, come Picnic ad Hanging Rock (1975) di Peter Weir; L’australiano (1978) di Jerry Skolimowski; e Interceptor (1979) di George Miller. E’ anche una terra di miti che conosciamo poco, ma molto affascinanti e dalla genesi inspiegabile. Ad esempio quello del Gulbirra, il canguro carnivoro descritto dagli Aborigeni. Non ci sarebbe niente di strano se l’Ekaltadeta Ima (il vero canguro carnivoro) non si fosse estinto all’inizio del Miocene, molto prima della comparsa dell’Homo Sapiens.

Mai sentito del Gulbirra. Ma così detto, in questo grigio pomeriggio cretacico che non promette nulla di buono, sono pronto a volare in Australia o ancor di più, a leggere il tuo prossimo romanzo sul canguro che salta attraverso il tempo – gli dico.

Verso la fine de Il record impossibile, tu spieghi «Quindi lei sarebbe una specie di fuoriuscito che si oppone all’uso di particolari strumenti per controllare la gente…», disse pensieroso l’ispettore anziano. «Non c’è più una vera democrazia nel mio tempo, tutti sono controllati dal governo dell’Unione Mondiale», affermò vigorosamente Grant. E la fine apre alla speranza che l’istinto di ribellione individuale possa salvare la società o il pianeta stesso dal potere di controllo degli uomini sugli uomini. Dimmi la verità, la pensi ancora così?
«Quindici anni fa ero più ottimista. Ma l’inizio del millennio, soprattutto con l’avvento di internet, sembra avere fornito ulteriori strumenti di controllo a chi detiene il potere. E le masse, lungi dall’essere diventate più attente e partecipi, sembrano essere sempre più manipolabili. E’ difficile resistere alle seduzioni della televisione, delle mode, dei bisogni artificiali indotti dal mercato».

La pioggia cessa, così d’improvviso. Ci guardiamo con sospetto, da fanta-geologi quali siamo (lui consumato e serio professionista, io esordiente-ironico in prova giornalistica), prefigurando tra poco chissà quali improvvisazioni si pareranno innanzi. Ma andiamo avanti lo stesso, in questa memorabile intervista fantascientifica.

Tu sei geologo e vivi sull’Etna. Sai che esiste un regolamento di accesso alle quote sommitali, condiviso dalle istituzioni del territorio, che controlla la fruizione, bloccandola anche se accompagnata dalla guide professioniste, ogni qualvolta il vulcano manifesti attività. Come lo giudichi?
«Non lo conosco nel dettaglio, ma posso dire che le guide professioniste già offrono uno standard di sicurezza più che soddisfacente ai gruppi che accompagnano. Non va sottovalutata l’opera di sorveglianza offerta dagli studiosi dell’INGV, che possono prontamente segnalare eventuali attività sismiche che si dovessero discostare dall’ordinario. L’unica vera incognita sembrano essere certi flussi piroclastici, recentemente osservati e a quanto pare imprevedibili, che potrebbero costituire una concreta minaccia. Anche per questo il turismo fai da te, a volte piuttosto dissennato nelle scelte di tempi e percorsi, andrebbe decisamente scoraggiato. Forse sarebbe sufficiente escludere l’accesso ad alcune zone, oggettivamente a rischio, e consentire l’osservazione a distanza di sicurezza».

Non sono propriamente d’accordo con l’osservazione a distanza di Di Stefano, soprattutto sotto una bandiera di sicurezza imposta a tavolino, sennò per lo stesso principio si dovrebbe mettere in sicurezza anche il Monte Bianco come tutte le cime di tutte le altre montagne d’Italia, ma difendo il diritto d’opinione diversa del mio intervistato. Mi piacerebbe discuterne più a lungo, con uno scrittore geologo di fantascienza, ma entrambi abbiamo la netta sensazione che stia per accadere qualcosa. Mi affretto con l’ultima domanda, quindi.

E’ notizia di questi giorni che da gennaio 2015 Google Street View consentirà di effettuare un tour virtuale a livello del terreno fino alle quote sommitali dell’Etna, con un clic. E’ questa la fantascienza del territorio?
«Non è detto che il tumultuoso sviluppo della tecnologia rappresenti sempre e comunque un progresso. Il tour virtuale potrebbe rappresentare una fase preliminare di scoperta, se si volesse mostrare l’ambiente etneo a scopi didattici. Ad una terza elementare, ad esempio. Ma nulla può sostituire l’emozione e la bellezza offerti da una vera passeggiata sul vulcano più alto d’Europa. Almeno fin dove l’utente medio può giungere in sicurezza…».

Improvvisamente capiamo che non siamo più sicuri. Alziamo lo sguardo al cielo e vediamo una scena indimenticabile: un’astronave di fuoco grande quanto una città, che ci piomba addosso. E’ la fine. O solo l’inizio di un futuro impensabile che porterà a un mondo nuovo, popolato da miliardi di uomini, molti dei quali per passione scriveranno parole. Enrico e io ci guardiamo negli occhi in perfetto silenzio: una storia da non crederci!

Info: Enricodistefano.it

[Foto di Fabio Bernocchi]


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