Il racket delle onoranze funebri Acireale, sei arresti nel clan Santapaola

I carabinieri del nucleo operativo di Acireale hanno arrestato sei persone, ritenute affiliate al clan Santapaola-Ercolano, e accusate di estorsione e violenza privata con l’aggravante mafiosa. Avrebbero imposto ai familiari di persone morenti o appena decedute la scelta della ditta di onoranze funebri grazie alla loro presenza costante all’interno dell’ospedale acese Santa Marta e Santa Venera. Il controllo del nosocomio sarebbe avvenuto attraverso un’associazione che si occupa della gestione di ambulanze. A finire in manette sono Stefano Sciuto (31 anni, ritenuto il capo della banda), Camillo Brancato (37 anni), Calogero Paolo Polisano (45 anni) e Cirino Cannavò (41 anni), tutti pregiudicati. Arrestati anche gli incensurati G.C. di 48 anni e S.C. di 42.

Le indagini sono partite da alcune rapine realizzate dal gruppo a Catania, Aci Catena e Riposto. Ma gli inquirenti sono risaliti all’attività principale dei sei arrestati, svolta grazie ad una onlus, Il gabbiano, nome anche dell’operazione dei carabinieri. I mezzi dell’associazione – che aveva ottenuto con la forza un vero e proprio monopolio – avrebbero portato le salme nelle abitazioni dei familiari i quali non avrebbero avuta altra scelta se non affidarsi a un’impresa di pompe funebri, la Onoranze funebri Grasso di Claudio Nelson Catalano. Il gruppo avrebbe così diviso i proventi ottenuti grazie alle intimidazioni.

Ma la presenza all’interno dell’ospedale non sarebbe stata limitata solo al trasporto di persone decedute. I medici sarebbero stati costretti a effettuare prestazioni sanitarie gratuite a persone ritenute vicine al clan Santapaola. Per giustificare l’assenza di ticket da pagare, visite ed esami sarebbero stati effettuati al pronto soccorso.

Il controllo del nosocomio era garantito dalla presenza definita dagli inquirenti «costante e assidua» di membri della onlus Il gabbiano, anche grazie alla complicità di alcuni dipendenti del Santa Marta e impedendo ad altre associazioni di svolgere lo stesso servizio. I referenti dell’associazione «venivano a conoscenza dell’imminente o appena avvenuto decesso di un paziente presso il cui capezzale si recavano – descrivono i carabinieri – così ottenendo, dai familiari dei deceduto, a volte con una sorta di imposizione, l’incarico di effettuare il trasporto a casa e, quindi, il funerale del deceduto».

 

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