Il proprio dovere e la solitudine

Il maxiprocesso venticinque anni dopo è il titolo del libro appena pubblicato da Bonanno Editore e scritto da un autore d’eccezione: Alfonso Giordano, il magistrato che è stato il presidente del primo, storico, maxiprocesso alla mafia, iniziato a Palermo nel febbraio del 1986 e terminato nel dicembre dell’anno successivo.
Un libro che, più che un saggio – come recita il sottotitolo – è un vero e proprio memoriale, scritto non da uno dei tanti, ma dal magistrato chiamato a condurre lo storico dibattimento che cambiò il volto della lotta alla mafia, infliggendo il primo duro colpo a Cosa nostra.
In 340 pagine, il giudice mette in atto una minuziosa ricostruzione storica di fatti, circostanze e protagonisti del più importante processo a ‘cosa nostra’, in cui finirono alla sbarra quasi cinquecento fra ‘padrini’ e killer mafiosi e che terminò con una raffica di ergastoli e complessivi 2665 anni di carcere, inflitti dalla Corte d’Assiste presieduta da Giordano e con a latere il giudice Piero Grasso, oggi Procuratore nazionale antimafia.
Numerosi gli episodi narrati nel libro. Fra questi, gli interrogatori dei pentiti numeri uno, i collaboratori di giustizia Totuccio Contorno e Tommaso Buscetta, quest’ultimo convinto a collaborare da Giovanni Falcone, attraverso un lavoro paziente e minuzioso che scoperchiò misteri e misfatti della cupola mafiosa. E non è un caso che il volume esca a vent’anni dalle stragi di mafia, da quegli orribili eccidi con i quali Cosa nostra assassinò i giudici Falcone e Borsellino, nel tentativo – estremo – di riportare indietro le lancette della storia e annullare gli sforzi che lo Stato, nel frattempo, aveva fatto per combattere l’organizzazione criminale.
“Il lettore si chiederà perché io abbia tanto tardato un quarto di secolo a scrivere di un processo che tanto ha inciso sulla mia vita – sottolinea il giudice Alfonso Giordano -. Le cause sono state molteplici. La prima è certamente una crisi di rigetto nei confronti della materia che mi aveva costretto a uno studio quasi triennale, intervallato da un corredo di ansie, patemi, delusioni, terribili interrogativi, speranze e timori. Una seconda è la sensazione fortissima che il sacrificio non indifferente cui mi ero sottoposto col solo scopo di compiere il mio dovere non era stato convenientemente apprezzato nelle sfere che avrebbero avuto il dovere di tenerne conto. Infine, una terza, che il lavoro molteplice e vario della mia professione di giudice, non mi aveva dato il tempo di voltarmi indietro e di meditare su un passato allora molto più recente”.
“Solo adesso – prosegue il presidente Giordano – con lo scopo di contribuire all’esattezza storica dei fatti e non più oppresso dal riservo professionale, posso interloquire su alcuni episodi importanti di quel processo”. E i fatti raccontati dal presidente Giordano sono tanti e circostanziati, alcuni dei quali – c’è da immaginare – in grado di suscitare dibattito fra quanti del maxiprocesso conoscono esclusivamente le “linee generali”.
Alfonso Giordano (Palermo 1928), magistrato e docente di Diritto privato alla Facoltà di Scienze politiche presso l’Università di Palermo, è stato Presidente della corte di Assise di Palermo, è stato chiamato a presiedere il primo maxi processo alla mafia nel febbraio 1986. Andato in pensione, alle elezioni comunali di Palermo nel 1993, si candidò a sindaco con l’Unione di Centro. Nel 2001 è stato commissario straordinario del comune di Trapani.


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