Una settimana fa ha subito uno strano raid vandalico. Il centro è l'unico posto che offre servizi - cibo, assistenza medica, legale e sindacale - in una zona completamente isolata. «All'inizio ci guardavano con sospetto, perché qui nessuno fa qualcosa senza essere pagato». Tra racconti di violenze e trazzere
Il presidio Caritas in mezzo alle campagne di Acate «C’è pure chi dorme nei magazzini tra i fertilizzanti»
«Soli». È la parola che torna più spesso sulla bocca di chi coordina il presidio della Caritas nelle campagne di Acate. Soli sono i braccianti che lavorano in questo angolo di Sud Est siciliano. Non c’è nulla a spezzare il loro isolamento, solo campagne, lavoro e sfruttamento. Due euro e 50 all’ora, per dieci ore al giorno, a sera portano a casa al massimo 25 euro. Sono tunisini e rumeni nella quasi totalità. Da tre anni il centro della Caritas diocesana di Ragusa rappresenta l’unico riferimento per centinaia di lavoratori: qui trovano cibo e assistenza medica e legale, i sindacalisti della Cgil, ma anche un luogo sereno dove gli adulti possono chiacchierare e i bambini giocare.
Un’oasi che a qualcuno non va più bene. Lunedì scorso, il 27 febbraio, un raid vandalico ha colpito il presidio. Hanno scavalcato la recinzione, hanno rotto serranda e finestra, e sono entrati nella struttura. Gli scatoloni con gli indumenti sono stati spostati e rovesciati dietro la porta d’ingresso, ostacolando il passaggio delle persone. Nessun altra stanza è stata danneggiata. «Eppure – racconta il responsabile, Domenico Leggio – c’erano anche una stampante, una fotocopiatrice, i farmaci, una caffettiera elettrica, l’attrezzatura per la cucina. È rimasto tutto al suo posto». Che quello che sembra un messaggio intimidatorio sia arrivato pochi giorni dopo la diretta di Radio Anch’io da Vittoria sul tema delle agromafie, per Leggio, al momento, è solo «una strana coincidenza».
L’obiettivo di chi ha messo a soqquadro il presidio, in ogni caso, non è stato raggiunto. A 24 ore di distanza dal raid, il centro è tornato operativo come prima, con tutti i servizi di cui usufruiscono circa mille persone. I quattro operatori (tra cui un avvocato), le due ragazze del servizio civile nazionale e i 15 volontari della parrocchia di Acate, compresi un medico e un infermiere, hanno rimesso in ordine senza scomporsi. Sono loro l’ossatura del progetto, nato grazie ai fondi dell’otto per mille alla Chiesa cattolica. «La diocesi di Ragusa – spiega Leggio – ha partecipato a un progetto della Caritas nazionale che mirava a essere presenti nei luoghi dello sfruttamento lavorativo. Presidi come il nostro sono sorti a Trani e nel Foggiano. Abbiamo ricevuto 100mila euro in due anni e andremo avanti a lungo, non riceviamo altri finanziamenti pubblici».
Volontari e operatori battono le trazzere delle campagne tra Acate e Vittoria, con le loro pettorine colorate. «Girano una volta a settimana, distribuiscono coperte e vestiti perché molti vivono in luoghi assolutamente fatiscenti – continua il responsabile -. Il presidio, poi, diventa socializzazione, in una zona di fatto irraggiungibile. Qui tutti si ritrovano, chiacchierano, mangiano e si confidano, sapendo che nulla gli sarà richiesto». È questa la diffidenza più grande che i volontari hanno dovuto superare. «Ci guardavano con sospetto all’inizio, perché si aspettavano che volessimo qualcosa in cambio. La nostra presenza rompe un approccio che da queste parti è consolidato: se vuoi qualcosa devi pagare, anche per il pane, anche per un passaggio. C’è sempre qualcuno, italiano o straniero, che si fa pagare».
Di storie ne hanno sentite tante. «C’è molta vergogna e anche pudore – racconta Leggio – Alcuni ci hanno raccontato di qualche episodio di violenza, li chiamano “particolari attenzioni sulle donne del datore di lavoro“. Ma c’è anche chi è costretto a dormire, pure d’inverno, con le finestre aperte perché vive nel magazzino dove sono stoccati fertilizzanti molto aggressivi. Da parte nostra abbiamo chiesto ai datori di lavoro di sederci allo stesso tavolo, di avviare un laboratorio e ragionare insieme per uscire da questa situazione. Perché è assurdo pensare di combattere la concorrenza del mercato, sottopagando i lavoratori. Ma finora – conclude – non abbiamo ricevuto risposte».