Il presidente del consiglio, i festini di Capodanno, gli invitati minorenni

«Che tempi! Che costumi!». Quando ho letto la nota del presidente del consiglio, Mario Monti, in cui lui stesso raccontava il suo festino di Capodanno, il mio primo pensiero è stato proprio questo: «Che tempi! Che costumi!».

La questione è semplice e la riassumo brevemente: Mario Monti dimostra, neanche fosse un teorema, che Roberto Calderoli è un idiota. E lo fa con una classe e un’eleganza che davvero non ci si crede. Pare che il senatore leghista abbia presentato un’interrogazione tramite la quale chiedeva al nostro premier banchiere di rendere conto delle sue spese per il cenone del 31 dicembre 2011 a Palazzo Chigi. Perché, cito testualmente, «sarebbe inopportuno e offensivo verso i cittadini organizzare una festa utilizzando strutture e personale pubblici». E Monti gli risponde che lo ringrazia, che fa bene a fare queste domande, che è giusto così.

Quindi, inizia snocciolando le cifre, come solo uno che coi numeri ci vive saprebbe fare: «Si è tenuta presso l’appartamento, residenza di servizio del Presidente del Consiglio, una semplice cena di natura privata, dalle ore 20.00 del 31 dicembre 2011 alle ore 00.15 del 1° gennaio 2012, alla quale hanno partecipato: Mario Monti e la moglie, a titolo di residenti pro tempore nell’appartamento suddetto, nonché quali invitati la figlia e il figlio, con i rispettivi coniugi, una sorella della signora Monti con il coniuge, quattro bambini, nipoti dei coniugi Monti, di età compresa tra un anno e mezzo e i sei anni». Un verbale, né più né meno. Ma non finisce qui. Lui, l’uomo assunto ma non eletto, continua. «Gli acquisti – dice – sono stati effettuati dalla signora Monti a proprie spese presso alcuni negozi siti in Piazza Santa Emerenziana (tortellini e dolce) e in via Cola di Rienzo (cotechino e lenticchie)». E la signora Monti, povera lei, ha preparato e servito in tavola la cena, «non vi è perciò stato alcun onere diretto o indiretto per spese di personale».

Però Mario, il vicino di casa che non dà fastidio che ogni italiano vorrebbe avere, le sue colpe le ammette. Si cosparge il capo di cenere, lui, perché «non si sente di escludere che, in relazione al numero relativamente alto di invitati, possano esservi stati per l’amministrazione di Palazzo Chigi oneri lievemente superiori a quelli abituali per quanto riguarda il consumo di energia elettrica, gas e acqua corrente».

Quando sono arrivata all’ultima riga della nota (che, per inciso, non è quella qui virgolettata) non sapevo se commuovermi o ridere. Commuovermi perché finalmente mi pare di avere un presidente del consiglio autorevole. Uno che parla e gli credi, uno che avrà pure i suoi difetti, la sua visione della vita, il suo gigantesco conto in banca e il suo occhio di riguardo verso i ricchi più ricchi dei ricchi, però sa quello che dice. Non straparla, non sbrodola stupidaggini, non ammicca, non si rende ridicolo davanti al mondo, non si fa scoprire con le braghe calate. Uno che se tutti gli italiani fossero così – dico, rispettosi ed educati – forse questo non sarebbe il Paese volgare e violento che è. E avevo gli occhi un pochino lustri, per parafrasare un romanzo che tanto ho amato da adolescente, perché la sensazione di stimare chi decide quanto c’è nella pensione di mia nonna o nello stipendio di mia madre (si fa per dire) a fine mese è una cosa che un po’ mi mancava, lo ammetto. Mica dico che la tassazione selvaggia mi faccia bene, né che stringere la cinghia sia il mio sogno erotico più spinto, eh. Sto parlando d’altro, sto parlando di dignità. Proprio a questo punto, quando sono arrivata alla parola «dignità», mi è venuto da ridere. Mi sono ricordata Ruby Rubacuori intervistata da Alfonso Signorini, Bruno Vespa che bacia la guancia di Silvio Berlusconi, Silvio Berlusconi che bacia la mano a Mu’ammar Gheddafi, Angela Merkel e Nicolas Sarkozy che ghignano parlando dell’Italia, Barack Obama che s’abbronza e la regina Elisabetta II che storce il naso per colpa di un maleducato che alza la voce. Mi sono ricordata il «bunga bunga» e le puttane che è più elegante chiamare «escort», un servizio di El Paìs e il «lettone di Putin», Lele Mora, le ragazze di via Olgettina e la carica politica di Nicole Minetti. Allora ho riso come ridono quelli che vengono fuori vivi dopo essere stati investiti da un treno.

«Che tempi! Che costumi!». Quelli ai quali c’eravamo abituati e che adesso sembrano una puntata, venuta perfino peggio delle altre, di Colorado Cafè.

Giovanna


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