Intervista con il preside uscente di Lettere. Un bilancio su ciò che si è fatto e su ciò che si deve ancora fare. E anche un'opinione sui rapporti Lettere-Lingue...
Il preside Mineo lascia Lettere ma non l’università
Per la Facoltà di Lettere, come per altre facoltà del nostro ateneo, il nuovo anno si apre con le elezioni per la carica di Preside. Nella giornata di ieri, lunedì 12 settembre, nel corso del consiglio di facoltà, i candidati preside, il professore Iachello e la professoressa Spampinato, hanno presentato ai docenti, e a tutti i presenti al consiglio, i propri programmi. I professori hanno evidenziato un punto di incontro nei loro discorsi di presentazione: entrambe le loro candidature si basano sul rilancio di una facoltà così importante come è quella di Lettere e Filosofia.
Nellultimo decennio la Facoltà di Lettere, come tutto il mondo universitario italiano ed europeo, ha vissuto anni di grande fermento, protagonista di grandi innovazioni che, nel bene o nel male, hanno profondamente modificato lattività che luniversità era abituata a svolgere. Tra i protagonisti indiscussi della realtà accademica catanese è certamente il professor Nicolò Mineo, preside uscente, che ha svolto ben due mandati allinterno della facoltà ospitata dallex Monastero dei Benedettini.
La redazione di Step1 ha rivolto alcune domande al preside Mineo, per cercare di far comprendere ai nostri lettori cosa fa un preside e cosa potrebbe fare. Ringraziamo il Preside per la sua disponibilità.
Preside, il suo mandato è quasi finito. Se dovesse fare un bilancio finale del suo operato, cosa direbbe?
Alla fine del mio mandato, quando le vicende elettorali saranno concluse, farò una relazione su questi sei anni, perché tutti sappiano come io li ho vissuti. Non sarà la verità rivelata ma dirò come ho visto questi sei anni dalla mia prospettiva.
Credo si possa dire che questi sono stati, dopo il 68, gli anni più impegnativi. Abbiamo affrontato la riforma, e l’abbiamo affrontata in modo impreparato. Senza strutture, senza un funzionariato che conoscesse bene i meccanismi, per di più in una situazione di latitanza legislativa, tra laltro tutt’ora presente. Quelli che hanno sofferto di più questa situazione sono state le facoltà che formano i professori, quindi innanzitutto Lettere, ma poi anche Lingue. Non abbiamo ancora il biennio di specializzazione per l’insegnamento che pur doveva esserci da due anni, tutto questo ha squilibrato i nostri piani, anche dei trienni.
A questo aggiungiamo tutta la vicenda delle valutazioni comparative: se si escludono i venti docenti di prima fascia, sul resto, un centinaio di professori, si sono fatte non più di 60 valutazioni comparative. Tutto il mondo della docenza è in movimento per varie ragioni, con decisioni importanti da prendere e i conti da fare con le poche risorse a nostra disposizione.
Altro aspetto importante è la gestione definitiva unitaria di un palazzo come il Monastero dei Benedettini: qui insistevano alcuni Istituti, ma i dieci mila studenti che ci siamo ritrovati e il personale tecnico che necessitava dello spazio in cui lavorare ci hanno dato molte preoccupazioni. E come non ricordare il problema della biblioteca, quello che aveva portato non poche diffidenze all’inizio perché i locali in cui è stata realizzata sembravano poco igienici.
Tutto questo in soli sei anni; non che tutto sia finito, ma credo che i futuri presidi avranno una vita più serena, perché almeno sarà codificato quello che si era fatto.
Uno dei problemi che la riforma ha messo davanti a tutti gli atenei italiani è stato il flusso spropositato di studenti. Come la Facoltà di Lettere ha affrontato questa nuova ed improvvisa ondata?
Nei corsi di laurea tradizionali, quelli di Lettere e Filosofia, l’aumento c’è stato ma in maniera gestibile. I nuovi corsi di laurea, invece, hanno creato un aumento poderoso degli studenti, soprattutto Scienze della comunicazione, per Lettere, e Scienze per la comunicazione internazionale, per Lingue. Corsi di laurea per cui, in partenza, non avevamo una competenza e una preparazione specifica; ma si è dovuto andare avanti con tanta buona volontà, perché non potevamo perdere il passo con le altre università italiane, che, più o meno, hanno fatto tutte la stessa cosa.
Qui c’è stato il maggior numero di iscritti ad una facoltà di comunicazione rispetto a tutta Italia. Questo è dipeso da tante cose: la situazione del lavoro nel Mezzogiorno, ed in Sicilia in particolare, è una delle motivazioni più forti. Probabilmente c’è stato qualche elemento di attrazione, che devo ammettere tuttora ci sfugge, dato che finora riceviamo più critiche che elogi.
Un cosa positiva che abbiamo fatto, rispetto ad alle altre facoltà di lettere italiane, è laver limitato enormemente il numero di corsi di laurea nuovi da proporre. Ne abbiamo proposto sostanzialmente due: Beni culturali e Scienze della comunicazione, gli altri sono quelli tradizionali.
Ci siamo mossi così per il problema dei corsi specialistici biennali, una problematica del tutto nuova. Sappiamo che per i trienni, nel caso di Lettere, la laurea dà uno sbocco lavorativo più ipotetico che altro. Allora abbiamo deciso di realizzare dei corsi triennali più proiettati verso i bienni specialistici, e non sapendo ancora cosa doveva succedere, abbiamo fatto corsi biennali culturali e scientifici. Ci auguriamo non siano due anni inutili per i ragazzi, cosa che succederà se non arriva nel frattempo una riforma, se arriverà cercheremo di fare dei passaggi interni ed intermedi per modificare la situazione.
Ed è di questi giorni la polemica sui piani di studio, con una minor differenziazione dei corsi triennali. Questo per preparare meglio lo studente alla specializzazione?
Sì, per proiettarlo. Quando nacquero i corsi di laurea triennali, la scelta fu di dare una formazione di cultura generale più che specifica, in modo che poi si potesse essere incanalati successivamente, non su nuove discipline ma con approfondimenti su discipline già fatte, in modo da poter consolidare alcuni concetti formativi fondamentali.
La situazione attuale è quella in cui ancora aspettiamo le nuove tabelle, le indicazioni da parte del Ministero sulle discipline da inserire nei piani di studio; al momento adeguiamo e modifichiamo alcune cose ma probabilmente i nuovi presidi dovranno rifare, dopo un mese, tutto quello che noi stiamo facendo adesso.
Quindi il Ministero non ci rende la vita facile?
No, non ci rende la vita facile: Noi stiamo cercando tutte le vie possibili per risolvere la situazione, per esempio rivolgendoci alle forze politiche locali, anche di schieramento opposto al mio. Perché in fondo la cosa più importante è il bene dell’università e se queste forze politiche sono motivate che ben vengano.
Un altro aspetto del suo operato concerne più propriamente la gestione interna, quella della sede dei Benedettini. Ed in questo senso, come definirebbe i rapporti con la facoltà di Lingue, durante gli anni in cui è stato preside?
La situazione con Lingue è un po’ ambigua. I rapporti sono stati di grande apertura in certi versi, soprattutto dal punto di vista economico e gestionale della sede dei Benedettini. Considero il preside Pioletti come un grande amico, e la facoltà giustamente come facoltà nuova ha tentato di emergere, di acquisire visibilità. Questo è stato interpretato da qualcuno come concorrenza, io non lho mai immaginato così: ai miei colleghi ho sempre detto che Lettere fa delle cose perché ha una determinata tradizione; Lingue è nuova, nasca come crede di nascere. Speriamo che tutto sia appianato, sono stati sei anni non facili da questo punto di vista.
I candidati ufficiali alla carica di nuovo preside sono la professoressa Spampinato ed il professore Iachello. Qual è il suo pronostico?
E una cosa molto delicata: sono colleghi a cui voglio molto bene e che conosco da tanto. Auguro a tutti e due buona fortuna.
Qual è adesso il futuro di Mineo? Cosa farà?
Ormai sono quasi due anni che lavoro al Polo Umanistico, prima in maniera più riservata, adesso in maniera più esplicita; andrò avanti in questo senso: quest’anno attiveremo due master e tenteremo di realizzare un biennio di specializzazione in comune tra le sette facoltà umanistiche. La nostra proiezione, il nostro obiettivo, condiviso anche dal Rettore, è quello del Polo Umanistico del Mediterraneo. Io sono stato designato come coordinatore dai miei colleghi presidi, e quindi lavorerò a questo a tempo pieno.