Il poeta e il burocrate (con famiglia)

Antonio Presti riflette. Poi, piano piano, pronuncia quattro parole appena: “Stile non finito siculo…”. Al poeta che ha inventato la Fiumara d’Arte – suggestive creazioni artistiche disseminate in quella parte della provincia di Messina che si affaccia sul Tirreno – abbiamo chiesto ‘lumi’, o meglio, il suo punto di vista su una delle ultime ‘invenzioni’ della classe politica siciliana: la sanatoria edilizia lungo le coste.

Per quest’uomo molto particolare la domanda è forse un po’ provocatoria. Quando, nella prima metà degli anni ‘80 del secolo scorso, la politica siciliana era impegnata a fare da sponda agli “abusivi per necessità”, Presti percorreva in solitudine una strada opposta.

Allora in mezza Sicilia – soprattutto lungo le coste – il cemento abusivo la faceva da padrone. Si costruivano prime, seconde, terze case e ‘villazze’ a due passi dal mare. Tutto fuori legge, naturalmente. In tante cittadine dell’Isola spuntavano come funghi intere contrade abusive, lasciando i muri delle abitazioni rigorosamente privi d’intonaco: dovrebbe essere questo – stiamo provando a immaginare – lo “stile non finito siculo” descritto da Presti.

Agli ‘onori’ delle cronache di quegli anni c’erano, soprattutto, Gela e Vittoria, dove i piani regolatori non esistevano e, quando c’erano, erano carta straccia (negli anni ‘80, in tanti Comuni siciliani, non c’erano Piani regolatori, ma Piani di fabbricazione: e certe volte nemmeno questi ultimi). Oltre a Gela e a Vittoria c’era, per onestà di cronaca, anche il ‘saccheggio’ metaurbanistico di tanti altri piccoli e grandi centri: per esempio, Sciacca, dove il cemento travolgeva quasi tutta la costa che dal centro cittadino corre verso occidente, dalle parti di Capo San Marco. Uno scempio sotto gli occhi ‘distratti’ delle tante autorità.

Mentre la politica siciliana di quegli anni provava a difendere ciò che era indifendibile (cosa che, del resto, succede anche in questi giorni), baloccandosi su sanatorie edilizie impossibili (sanare le case costruite entro i 150 metri dalla battigia non si poteva e non si può ancora oggi, mentre per gli altri abusi l’oblazione sanava l’illecito amministrativo, ma non estingueva il reato), Presti, a proprie spese, iniziava a disseminare le valli delle fiumare messinesi (cementificate ottusamente dalle amministrazioni regionali di quegli anni) di bellissime opere d’arte a cielo aperto.

A questo punto entrava in scena quella parte della Sicilia che ispirava Luigi Pirandello. Quell’amministrazione regionale che si guardava bene dal perseguire gli abusivi che massacravano città e coste della Sicilia, infatti, ritrovava improvvisamente le proprie, vere ragioni ‘morali’ della ‘legalità. Se le case edificate fuori legge a Gela e a Vittoria – insieme con gli insediamenti selvaggi di cemento abusivo lungo le coste di Triscina e Sciacca, per citare solo alcuni luoghi simbolo del degrado urbanistico – non andavano perseguiti perché di ‘necessità’, non altrettanto poteva e doveva dirsi per le opere d’arte installate da Antonio Presti nelle valli del Messinese: per l’amministrazione regionale di quegli anni, quelle opere – quelle sì – erano ‘abusive’!

Antonio Presti

Nel ricordare quel periodo Antonio Presti mastica amaro. “La bellezza – dice – va tutelata. Salvaguardata come un bene prezioso. Non c’è solo un vincolo giuridico: c’è anche, anzi soprattutto, un vincolo di coscienza”. Già, la bellezza come antidoto alla dabbenaggine umana intrisa di egoismo e di ricerca del profitto personale a scapito dell’interesse generale. I lettori diranno: siamo già arrivati alla Regione siciliana di oggi? Calma. Manteniamoci un po’ nel passato. La memoria non guasta.

E’ proprio in quegli anni che la Sicilia faceva la propria conoscenza con un valente esponente dell’amministrazione regionale: Gesualdo Campo, allora nume tutelare della Sovrintendenza di Messina. Oggi i siciliani hanno avuto il piacere di conoscere Campo – attuale dirigente generale del dipartimento regionale dei Beni culturali – per le sue ‘gesta’ che, con rispetto parlando, hanno poco a che vedere con l’Ariosto. Forse, del grande poeta del ‘500 italiano Campo ha preso soltanto le “donne”, risparmiandoci, almeno fino ad oggi, “i cavalier, l’arme, gli amori”. Ha valorizzato, il nostro dirigente maximo dei Beni culturali, solo le donne (di casa sua, ovviamente) con qualche “audace impresa”: la figlia, ‘impostata’ in quel ‘carrozzone mangiasoldi’ definito pomposamente “ufficio di rappresentanza della Regione siciliana a Bruxelles”, e la moglie, alla quale ha riconosciuto una congrua miglioria contrattuale.

Prima di cimentarsi con le ‘sistemazioni familiari’, però, l’architetto Campo è stato, negli anni ‘80, un fedele servitore della legalità. Anche sua la tesi – lungimirante quanto il corvo della celebre favora di La Fontaine – che le opere della Fiumara d’Arte erano abusive. E’ stata, quella, una stagione di irripetibile di ‘coerenza’ e di ‘intelligenza’. Mentre il cemento abusivo, se non mafioso, aggrediva città e coste siciliane, la Regione si cimentava pirandellianamente in una appassionata battaglia legale per abbattere, o magari far rimuovere, le opere della Fiumara d’Arte. Cause e processi penali. Primo, secondo e terzo grado.

Alla fine la Regione ha perso (e la Ragione, con la “a” dopo la “R” ha vinto). Per la Corte di Cassazione le opere della Fiumara d’Arte devono restare dove sono. La Giustizia italiana qualche volta fa discutere, qualche altra volta può pure risultare ‘indigesta’ o assente. Ma, nel caso della Fiumara d’Arte – questo va riconosciuto – ha premiato la bellezza e l’intelligenza.

Allora sì che i vertici della Regione erano impegnati: impegnati – ma soccombenti – nel ‘tutelare’ il suolo siciliano dall’Arte della Fiumara e non dagli abusivi.

E oggi? In effetti – forse anche per colpa delle ‘botte’ in testa che Campo ha preso di recente, quando i Cobas della Regione hanno scoperto le sue ‘marachelle’ in famiglia – è da un po’ di tempo che il dirigente generale dei Beni culturali non ci delizia con le sue dotte teorie sull’urbanistica sicula. L’ultima sua ‘lezione magistrale’ – imperdibile: e infatti ve la riproponiamo in ‘pillole’ – risale all’anno scorso.

Autunno 2010. Alla caduta delle foglie, il governo regionale consegna alla commissione Bilancio e Finanze dell’Ars il ‘bozzone’ della manovra. Nel ‘mazzo’ c’è anche un bel regalo: la proposta di sanatoria edilizia. Da applicare, magari, anche per le costruzioni realizzate entro i 150 metri dalla battigia. Un grande esempio di ‘cultura’ amministrativa (e di legalità, soprattutto).

Subito dopo scoppia un mezzo casino. Quello che resta della sinistra siciliana (parliamo del Pd, una sorta di ‘mutazione gemmaria’ – mal riuscita, in verità – del vecchio Pci con una spruzzatina di vecchia Dc e un tocco lieve ma sostanziale di Opus Dei: e vedi che ‘mangi’!) insorge. Si capisce subito che la sanatoria immaginata dal governo regionale ‘attumbulierà’ ingloriosamente. Nonostante l’aurea negativa, il prode Campo prende la parola. E, novello neofita da Bauhaus di seconda mano in salsa sicula, spiega perché la sanatoria è necessaria… Da notare l’evoluzione del pensiero di questo personaggio: da Torquemada dell’antiabusivismo, ecco che si trasforma in uno strenuo difensore degli abusivi: ieri di là, oggi di qua: ma sempre da esponente di quell’amministrazione regionale che non ha idee o le ha tutte, anche le peggiori, anche quelle in contrasto con la realtà e con la verità.

Come i lettori avranno capito, invece di lasciar parlare Presti, stiamo tratteggiando la figura di Campo. E’ vero: ma non lo facciamo apposta: l’intelligenza, la lungimiranza, la maieutica e l’ermeneutica urbanistica di questo dirigente generale del dipartimento regionale dei Beni culturali, la sua straordinaria capacità di essere classe dirigente – per giunta in un grande governo: il governo Lombardo… – insomma, tutte queste sue caratteristiche somme, uniche e irripetibili ci attraggono troppo. Così, presi dalla sua coerenza al fosforo, quasi ci dimentichiamo che avevamo cominciato dalla poesia.

Ma sì, torniamo alla bellezza. In fondo l’architettura dovrebbe essere anche questo: bellezza. “Il grande tradimento dei siciliani – ci dice Presti – è quello di non avere avuto la forza di preservare molte delle tante bellezze della nostra terra. I condoni edilizi non hanno costruito la coscienza: l’hanno solo sanata nel malessere. I condoni, alla fine, sono sempre una manifestazione di debolezza dello Stato”.

Con Presti parliamo dei viadotti che squarciano il paesaggio. Quelli che attraversano la provincia di Messina sono maestosi e impressionanti. La prendiamo alla larga. Cercando di cogliere solo gli aspetti estetici. Non ce la sentiamo di parlare con lui dei disastri del Consorzio per le autostrade siciliane, il ‘mitico’ Cas, dove i milioni di euro spariscono virtuosisticamente, per finire non si sa dove. Non, non sono argomenti da affrontare con un poeta, questi. Forse ci possiamo consentire, ma senza appesantire troppo la discussone, quache divagazione inattuale sul prezzo enorme pagato dall’ambiente per avere un’autostrada – la Palermo-Messina – abbandonata non soltanto da chi dovrebbe occuparsi della manutenzione, ma anche da chi dovrebbe vigilare – e magari censurare – i ladri.

“L’invito che faccio alle istituzioni – ci dice ancora Presti – è quello di non dimenticare coscienza e futuro”. Già, coscienza e futuro. Ve l’immaginate, voi, l’onorevole Paolo Ruggirello, il deputato regionale ‘autonomista’ eletto a Trapani, che s’interroga su “coscienza e futuro”? E che sono ‘ste cose? Due ville in riva al mare da sanare? Ruggirello è il ruspante parlamentare che vorrebbe la sanatoria lungo le coste. Questo, in sintesi, è il suo ‘orizzonte’ politico: un ‘orizzonte’ abusivo a uso e consumo dei furbi come lui.. Dal suo punto di vista ha ragione. Un punto di vista che, al limite, guarda sì al futuro (il suo naturalmente, se è vero che sarebbe il proprietario di una villa abusiva che la magistratura vorrebbe buttare giù), ma che non ha nulla da spartire con la coscienza (che non è una villa abusiva da sanare: anzi).

Dobbiamo chiudere questo ‘viaggio’ la tra poesia (Presti) e la vergogna (la politica siciliana che vuole la sanatoria edilizia lungo le coste) con Ruggirello? Giammai! Preferiamo di gran lunga salutare i nostri lettori con una considerazione, anzi con una domanda, del poeta della Fiumara d’Arte: “E’ possibile – ci dice – che le coste della Sicilia siano state salvate, alla fine, dalle ferrovie?”.

E’ una domanda che diventa considerazione amara. In parte è così. Fino a quando c’erano le linee ferroviarie a scartamento ridotto tanti tratti costieri della Sicilia non potevano essere ‘colonizzati’ dagli abusivi. Per motivi, come dire?, tecnici i famelici “abusivi per necessità” non potevano costruire lungo le linee ferroviarie. Quando, alla fine degli anni ‘80, la politica dell’epoca pensò bene di tagliare i ‘rami secchi’ (che in molti casi non erano affatto ‘secchi’, ma dovevano essere eliminati per consentire alle autolinee private di farsi i ‘bagni’ con il denaro pubblico, sostituendo, per l’appunto, le linee ferroviarie, che venivano sbaraccate, con i pullman), cominciò l’assalto anche lì. Ma questa è un’altra storia.

 


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