Il pm Nino Di Matteo parla a studenti di Giurisprudenza «Coltivate la memoria per contrastare i metodi mafiosi»

«Credo che voi giovani abbiate un compito esaltante ma tremendo, quello di coltivare la memoria, di pretendere che la verità venga completata e che il suo percorso venga solcato sino all’ultimo». A parlare è il pm Nino Di Matteo, intervenuto ieri pomeriggio al seminario Vittime di mafia: quale giustizia? organizzato dall’associazione ContrariaMente – RUM presso l’aula magna della facoltà di Giurisprudenza. «Avete il compito di controllare il nostro lavoro di magistrati e di cambiare la politica – ha aggiunto – Non possiamo accettare di vivere in un paese dove ancora i metodi mafiosi sono così diffusi. Soprattutto, della politica cambiate quell’odioso delegamento della lotta alla corruzione e alla mafia esclusivamente a magistrati e forze dell’ordine». È un discorso appassionato e senza freni quello che fa in occasione della Giornata della memoria delle vittime delle mafie. Tra le mani stringe un foglio: qualche appunto abbozzato forse sbrigativamente, che segue senza troppo metodo. È più un andare a braccio, un aprirsi totalmente agli studenti che gremiscono sino all’inverosimile quell’aula. E malgrado gli ospiti illustri chiamati a intervenire, dal giudice Lorenzo Matassa ai parenti di alcune vittime, sembrano tutti essere lì per sentire lui.

«Il nostro rischia di diventare un Paese senza memoria, senza consapevolezza del presente, senza sogni di futuro – dice – È sempre più evidente la connessione tra sistema mafioso e sistema corruttivo, che costituisce il più grave fattore di compromissione della democrazia». Mette in guardia, Di Matteo, soprattutto sulla sistematica violazione dei fondamentali principi della Carta costituzionale. «Da magistrato resto convinto che la lotta alla mafia e all’illegalità del Paese dovrebbe essere il primo obiettivo di ogni Governo, a prescindere dal suo orientamento politico, e finora in Italia non è stato così». Non risparmia critiche, infatti, a quella politica che spesso l’ha deluso e che ancora, a suo dire, non si è schierata nel modo giusto sul fronte della concreta lotta alla criminalità organizzata. E nella nostra terra, secondo il pubblico ministero, uomini politici e uomini di mafia hanno spesso intrecciato a doppio filo i propri destini.

«La mafia siciliana è l’unica organizzazione che ha concretamente esercitato a livelli altissimi la sua pretesa di partecipare alla gestione della vita politica del Paese – spiega – Cosa nostra è stata protagonista dei più efferati delitti che hanno condizionato la nostra storia e democrazia, qui è accaduto ciò che non è mai accaduto altrove. Inevitabile, poi, una riflessione proprio su quelle che sono state le vittime della mafia, specie quelle eccellenti, da Piersanti Mattarella a Rocco Chinnici, da Ninni Cassarà a Peppe Montana: «Sono tutti fatti di sangue legati da un denominatore comune: questi personaggi – spiega – erano percepiti come un’anomalia da Cosa nostra, perché non accettavano la connivenza, anzi la denunciavano, la combattevano. E un altro filo rosso che non va dimenticato sono delegittimazione e isolamento nel loro stesso ambiente istituzionale, che li ha uccisi molto prima del piombo». «Consapevolezza, memoria e serietà dell’analisi – dice ancora – Solo questo può aiutarci a capire il fenomeno mafioso».

«Sono sicuro che, come diceva il giudice Falcone, prima o poi il fenomeno mafioso avrà una fine. Non so quando, ma so che devono ricorrere due condizioni che hanno eguale importanza: la politica deve cambiare e iniziare a considerare prioritaria la lotta alla mafia. Il resto lo devono fare i giovani – prosegue – serve una rivoluzione culturale che parta dal basso e che promuova una mentalità del merito e della solidarietà. Se si realizzano queste due condizioni possiamo sperare di vivere in un paese realmente libero e democratico, e di poter applicare quei principi che già sono scritti nella nostra Costituzione». Un’ultima riflessione la dedica proprio al ruolo del magistrato, tirando in ballo il discusso tema dell’autonomia della categoria. Ma lui non ha dubbi: «Non rappresenta un privilegio ma una garanzia di libertà per tutti i cittadini. È un patrimonio di tutti e dobbiamo difenderla dagli attacchi esterni. Le questioni di opportunità devono restare fuori dall’agire del magistrato – ha concluso – e bisogna avere il coraggio di farlo e di dirlo, bisogna avere il coraggio della verità, soprattutto quando quella verità ve la vogliono nascondere».


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