Ren ha avuto la fortuna di sbancare le macchinette, ma la sfortuna di farlo nel posto sbagliato: il tabacchino del figlio di Domenico La Valle, considerato il leader del clan Mangialupi. Un torto da cancellare con un raid punitivo in pieno giorno. Ma la vittima, con fratture e lesioni, decide di denunciare
Il pestaggio del cinese che vinceva ai videslot «Dopo un’ora ancora che asciugavo sangue ero»
Vinceva troppo e nel posto sbagliato. Per questo è stato pestato a sangue nel tabacchino di Giovanni La Valle, il figlio di Domenico, quello che è considerato il capo del clan Mangialupi di Messina. Ma Ren, 48enne cinese, dopo essere uscito dal Policlinico malconcio e con 25 giorni di prognosi, è andato a denunciare i suoi aggressori, contribuendo alla montagna di accuse che adesso pendono sulla testa degli uomini più fidati di La Valle.
C’è anche questo nell’inchiesta denominata Dominio che ieri ha portato all’arresto di 21 persone. A capo di tutto ci sarebbe Domenico La Valle, più volte, a partire dagli anni ’80, finito in indagini antimafia ma uscitone senza condanne. Secondo gli inquirenti nel frattempo avrebbe scalato i vertici dello storico clan Mangialupi, grazie al business dei videoslot e delle scommesse. Macchinette piazzate ovunque a Messina, in provincia, ma anche nel Catanese, come a Giarre. E che naturalmente erano presenti pure nella rivendita di tabacchi gestita dal figlio Giovanni, in via Taormina nella città dello Stretto.
È qui che il malcapitato Ren, il 21 novembre 2014, va a giocare e, approfittando di una fase di bonus (cioè il momento in cui il videoslot è restituisce i soldi), comincia a vincere. La circostanza non passa inosservata e viene immediatamente riferita al presunto capomafia. Domenico La Valle sbotta: «Ma non mi scassate la minchia! Non lo dovevate fare neanche giocare. Forza, ora ci dobbiamo fare prendere i soldi». Così in pochi minuti raggiunge il tabacchino insieme a uno dei suoi uomini più fidati, Francesco Laganà, pure lui arrestato ieri.
Passano pochi minuti e, poco prima di mezzogiorno, scatta il pestaggio. L’uomo cinese riporta gravi fratture e lesioni in volto, guaribili in 25 giorni. Autore materiale dell’aggressione sarebbe Giovanni La Megna, cognato di La Valle, su ordine dello stesso presunto capomafia. La violenza è tale che lo stesso Laganà, a distanza di qualche ora, sembra turbato e parlando con un amico dice: «Onestamente mi è dispiaciuto, dopo un’ora e mezza ancora che asciugavo sangue ero, ma io non sono così».
Sentito dalle forze dell’ordine intervenute sul posto, La Valle minimizza, racconta che è scoppiato un diverbio perché l’uomo non voleva lasciare il locale nonostante l’invito del proprietario e pretendeva il pagamento di 250 euro. Prova a spiegare che le gravi ferite se l’è fatte «sbattendo la faccia contro una porta». Scuse che le indagini riveleranno false.