Presentato a Catania il libro di Nicola Biondo e Sigfrido Ranucci, incentrato sulla figura dellinfiltrato Luigi Ilardo e sulle trattative tra Stato e mafia che, già negli anni '90, avrebbero causato il mancato arresto del super-boss latitante Bernardo Provenzano a Mezzojuso
Il Patto, storia di un «doppio tradimento»
«Questo libro nasce a Catania e racconta una storia di catanesi. Quando si parla di mafia abbiamo tutti l’idea che si tratti di Palermo o di Corleone perché a raccontare questa città siete veramente in pochi». Parla così Nicola Biondo, giornalista ed autore, insieme al collega Sigfrido Ranucci, del volume Il Patto, presentato lo scorso sabato alla libreria Cavallotto di corso Sicilia. Alla presentazione hanno partecipato anche l’avvocato Mario Giarrusso, rappresentante dell’associazione antimafia “Antonino Caponnetto”, l’ex direttore di Sud Antonio Condorelli e Giulia Grillo, attivista di Movimento 5 Stelle.
Il Patto è un libro incentrato sulla trattativa tra Stato e mafia. Siamo negli anni delle stragi e dell’inizio della Seconda Repubblica e il protagonista della storia è Luigi Ilardo, un mafioso che a un certo punto della sua vita entra in crisi e in seguito all’incontro con un carabiniere, il colonnello Michele Riccio, decide nel 1993 di diventare un infiltrato. Grazie al suo lavoro riesce a conoscere Bernardo Provenzano e ad entrare nelle sue grazie. Nel corso delle sue confessioni Ilardo parla chiaramente di patti, dei ruoli di Dell’Utri e Ciancimino. Diventa il capo di tre province siciliane, nel ’95 conduce i carabinieri a Mezzojuso in provincia di Palermo dritti nel covo del boss latitante dal 1963, ma questi scelgono di non intervenire. Dopo alcuni mesi, nel 1996, Ilardo viene ammazzato.
Ad introdurre l’incontro è Giulia Grillo, che afferma: «Quando si leggono libri come questo si raggiungono delle consapevolezze che ti fanno sentire diverso dagli altri, ma un diverso buono. Stare qui senza fare niente ti fa sentire un criminale». Ha poi continuato: «Da una parte ci sono i mafiosi, i politici, le stragi e dall’altra ci siamo noi che conduciamo una vita normale. Per loro siamo niente, siamo carne da macello. Noi cittadini dobbiamo riappropriarci della nostra esistenza».
La parola passa poi all’avvocato Mario Giarrusso che osserva: «La storia di Luigi Ilardo è senza precedenti nel nostro Paese; per la prima volta ci si riesce ad infiltrare nella mafia ai massimi livelli. Nei primi anni ’90 l’Italia è un paese sconquassato dalle indagini, dalle corruzioni, da mani pulite. In questo sconquasso si inserisce Cosa nostra e una parte dello Stato, di fronte alle bombe del terrorismo mafioso, decide di trattare con queste persone e di concludere un patto con loro. Se Bernardo Provenzano non è stato arrestato nel ’95 sicuramente è perché questo accordo ha funzionato». Nel corso del suo intervento, Giarrusso ha poi aggiunto: «Come è possibile che un uomo che ha scelto di stare dalla parte dello Stato venga da questo stesso tradito? Questo tradimento è lo stesso che abbiamo subito tutti e che ha colpito la storia di Falcone e Borsellino, perché prima e dopo le loro morti, pezzi di questo Stato hanno trattato con Cosa nostra».
Presente all’incontro anche il senatore Lorenzo Diana, membro della Direzione della Fondazione Caponnetto e attivo esponente della lotta alle mafie, che sottolinea come questo libro «ci aiuta a debellare un luogo comune che vede la mafia come anti-Stato, perché se così fosse Cosa nostra sarebbe stata sconfitta molto tempo fa e nel ’95 Provenzano sarebbe stato arrestato a Mezzojuso». Per far comprendere il perché dell’esistenza della trattativa Diana spiega che «le mafie erano in quegli anni un fenomeno da contenere e non da sconfiggere, ed è proprio per contenerle che sono stati fatti i patti».
Infine, l’autore del libro Nicola Biondo parla del suo lavoro con Ranucci, e chiarisce al pubblico le ragioni che hanno portato i due giornalisti a raccontare proprio la storia di Ilardo: «Io e Sigfrido avevamo il desiderio di raccontare la storia di un perdente di successo, per questo abbiamo scelto la vicenda di Luigi Ilardo. Poteva diventare un pentito, ma non lo ha fatto e ha avuto un coraggio bestiale. Ha scelto di rimettersi la maschera da mafioso e fare decapitare i vertici di Cosa nostra di tutta la Sicilia orientale. Non sappiamo se lo ha fatto perché si era pentito di aver vissuto tutta la sua vita dalla parte sbagliata, ma sappiamo che aveva deciso di rivolere la sua libertà, aveva deciso di non dipendere più da nessuno».