Il Parco dell’Etna e il progetto di un marchio collettivo «Sistema con regole e controlli per garantire qualità»

Il progetto per un marchio collettivo dell’Etna. Una delle poche buone notizie di fine 2021 che rappresenta un primo passo per la valorizzazione del vulcano. Al centro c’è la convenzione tra il Parco e l’università di Catania, con quest’ultima che ha affidato al dipartimento di Giurisprudenza lo studio e la realizzazione del disciplinare e della normativa che regolamenteranno il marchio collettivo di qualità ambientale del parco. L’iniziativa ha l’obiettivo di sviluppare una rete tra imprenditori e tessuto produttivo per far sì che il riconoscimento di marchio collettivo non sia un semplice bollino da apporre. «L’Etna essendo un parco conosciuto si presta a diventare un marchio da utilizzare per i nostri prodotti – dice a Direttora D’Aria il presidente del parco dell’Etna Carlo Caputo all’indomani del forum con la filiera produttiva e le parti in gioco -, l’obiettivo darà un valore aggiunto a quello che già esiste». 

Con un focus preciso sui consumatori. «Perché – spiega Caputo in trasmissione –  fornisce una garanzia riguardo ai plessi alberghieri e alle agenzie turistiche a cui si rivolge». Se il marchio, dunque, fornisce la garanzia dell’esistente, a non essere sottovalutato dovrà essere il sistema di regole e controlli che dovrebbero garantire il rispetto degli standard qualitativi. «Molte realtà sono già in possesso dei requisiti ambientali per operare nell’area protetta – spiega Caputo -, Al contempo il marchio si costruisce con un disciplinare e un regolamento d’uso con la predisposizione e il rispetto di alcuni parametri». Con un metodo che si dovrà avvalere di una scala di valutazione. «In base al punteggio ottenuto si deciderà se assegnare o meno il marchio», prosegue Caputo. 

In un parco, come quello dell’Etna, che non è ancora un brand. Ma che sembra essere destinato a diventarlo. «Perché non possiamo dare la stessa opportunità alle aziende che non operano all’interno dell’area protetta», afferma Caputo. «I parchi non hanno il consenso dei cittadini o meglio ne hanno avuto poco – è il pensiero del presidente -, questo potrebbe essere un modo per produrre reddito e riavvicinarsi alla comunità attraverso la comunicazione». Un modo, quindi, anche per fare fruttare il patrimonio culturale e naturalistico. E per farlo diventare hub di sviluppo e volano commerciale, Caputo avrebbe già le idee chiare. «Immaginiamo anche di ricostruire i percorsi dove sono passati Alexandre Dumas e Giovanni Verga e raccontare l’Etna attraverso immagini e parole dei grandi scrittori del ‘700 e dell’800». 

Posizione condivisa da Andrea Passanisi, presidente di Coldiretti Catania e imprenditore agricolo. «Un’idea di alto profilo – chiosa Passanisi ai microfoni di Radio Fantastica – efficace per chi della comunicazione ne ha fatto un principio». Perché, prosegue Passanisi, «non bisogna limitarsi a vendere ma bisogna raccontare il nostro territorio per un parco che, pur non essendo un brand in via ufficiale, ne ha tutte le caratteristiche». Basti pensare, è lo spunto di riflessione di Coldiretti, «a quanti imprenditori hanno dato un’identità a un prodotto collegandoli all’Etna, dando un valore e avendo successo». In un’area protetta dal terreno fertile e patrimonio dell’Unesco. «Un progetto che diventa funzionale e sinonimo di garanzia – sottolinea Caputo – a patto che vi sia supervisione, tutela e controlli rigorosi per evitare ogni tipo di speculazione». E per raggiungere quello che è un traguardo ambito da molti, Caputo avrebbe anche la ricetta. «Il successo dell’iniziativa passa dalla comunicazione e dai tanti incontri con gli attori della filiera per comprendere il tessuto produttivo e le eccellenze della zona». 

Gabriele Patti

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