Il nuovo ‘furto’ delle banche ai danni degl’italiani

IN MEZZO A QUESTA STORIA NON POTEVANO MANCARE I COMMENSALI CHE HANNO ‘SPOLPATO’ IL NOSTRO PAESE NEGLI ULTIMI ANNI: L’UNIONE EUROPEA E LA BCE. CON LA STRAORDINARIA PARTECIPAZIONE DELLA BANCA D’ITALIA. ECCO NELLE MANI DI CHI E’ FINITO IL NOSTRO APESE: CHE INFATTI E’ FINITO…

Anche in Italia l’amministrazione, a volte, può essere efficiente. Molto efficiente. Tanto efficiente da sorprendere e da far sospettare che, dietro questa efficienza ci sia qualcosa.
Sono stati necessari quasi nove anni (il doppio del tempo necessario per concludere le ultime due guerre mondiali) e la buona volontà e la pervicacia di un privato cittadino per eliminare una legge incostituzionale come il Porcellum. Una legge che, sin da subito, aveva destato qualche perplessità, ma che aveva superato l’esame di tutte le cariche dello Stato (Governo, commissioni, Parlamento e Presidente della Repubblica). Il percorso per dimostrare che era (ed è, visto che ancora non si sa cosa fare per risolvere il problema) incostituzionale (oltre che inutile e antidemocratica, ma questo, in un Paese come l’Italia, forse è secondario) ha impiegato un’eternità.
Invece, lo scorso 23 Dicembre (chissà come mai certe norme vengono varate alla vigilia di Ferragosto o alla vigilia di Natale, mentre buona parte dell’opinione pubblica è in altre faccende affaccendata), è bastata una seduta di meno di un’ora per decidere del futuro dei soldi di tutti gli italiani.
Così, in meno del tempo che di solito si impiega per andare da casa all’ufficio o per prendere un caffè al bar, Bankitalia ha approvato l’adeguamento del proprio statuto alla normativa nazionale. A quale normativa? In realtà, ciò che avrebbe dovuto sorprendere ancora più della velocità della decisione, è il fatto che si è trattato di un adeguamento ad una legge che ancora non è neanche entrata in vigore (l’aumento di capitale della Banca d’Italia) quindi di qualcosa che, di fatto, ancora non esiste. E allora perché tanta fretta di adeguare il proprio statuto ad una legge ancora inesistente?
La spiegazione forse potrebbe venire da ciò che è avvenuto quattro giorni prima. L’azione “salvabanche” italiana, infatti, segue di soli quattro giorni la firma degli accordi a livello comunitario che consentiranno alle banche di “fallire in modo controllato” (Single Resolution Mechanism, SRM). Quindi, per far fare “bella figura” alle banche italiane in vista dell’Asset quality review (che sarà completata, insieme con gli stress test, nel novembre 2014), era necessario prelevare soldi dalle tasche degli italiani e metterli nelle ‘casse’ delle banche.
L’accordo sottoscritto prevede che, se un’impresa artigiana o commerciale o una piccola e media impresa è in difficoltà economiche, fallisce e basta. Ma se ad aver ha sperperato le risorse dei suoi clienti, ad esempio in derivati (il cui volume ha raggiunto il livello mostruoso di una decina di volte il Pil di tutti i Paesi del globo), è una banca, allora l’intera comunità europea si mobilità per aiutarla. E come fa?
Creando un fondo salva-banche unico, finanziato con prelievi sulle banche a livello nazionale, formato da compartimenti nazionali che, nel giro di alcuni anni, confluiranno in un unico fondo.
A parte il fatto che questo sistema è apparso agli esperti come “nato” male (per la sua farraginosità), di certo avrà bisogno di tempo e di modifiche prima di essere realmente operativo. L’unità bancaria diventerà realmente operativa non prima del 2025. Fino ad allora se si verificasse una crisi economica in uno degli istituti bancari nazionali, sarà un problema tutto italiano. Da risolvere attingendo, come sempre, dalle tasche degli italiani.
In più a decidere se una banca è fallita o no, non sarà più l’autorità del Paese in cui la Banca ha sede legale, ma un team di rappresentanti delle autorità nazionali, che agirà sotto la guida della Banca centrale europea (Bce).
Non solo. Questo fondo, a regime, pare potrà disporre di risorse sufficienti per salvare non più di una o due banche di piccole o medie dimensioni e non certo dei “mostri” come quelli che controllano la finanza dell’intera Unione europea.
Non è un caso che a destare seri dubbi sull’operazione non sono state solo voci nazionali: anche la Bundesbank ha sollevato più di un’obiezione sulla manovra. Anche Standard & Poors non pare aver creduto nell’iniziativa e ha declassato l’UE di un gradino ponendola su AA+.

Quindi uno strumento lento e poco efficace. Ma sufficiente a far sì che le banche che controllano Banca d’Italia decidessero di intervenire con urgenza per permettere alle banche maggiori azioniste di poter disporre di notevoli risorse non solo virtuali, ma reali.
Così, in una riunione fulmine, pare svoltasi a porte chiuse per i giornalisti, è stato varato il decreto che consentirà alle banche con partecipazioni superiori alla soglia massima consentita di monetizzare il guadagno che inizialmente avrebbe dovuto essere soltanto contabile.
In altre parole, le maggiori banche non solo potranno vedere il proprio patrimonio crescere a dismisura senza aver fatto assolutamente nulla (cosa già considerata da molti in violazione delle norme sulla concorrenza e gli aiuti di Stato), ma potranno venderlo per farne ‘cassa’ e migliorare la loro situazione in vista dell’ispezione della Bce!
La manovra ha lasciato molti dubbi nelle associazioni dei consumatori. Elio Lannutti dell’Adusbef ha parlato di una “patrimonializzazione occulta delle banche in vista degli stress test”, chiedendosi se “abbiano qualcosa da nascondere” visti i tempi “estremamente” veloci dell’assemblea.
Certo è che, “casualmente”, proprio alla vigilia dei controlli della Bce, istituti come Intesa Sanpaolo e Unicredit potranno incassare notevoli profitti. E lo faranno con il placet del Governo, del Parlamento e di tutte le autorità competenti in materia e coinvolte nell’operazione.
Ma per uno che incassa, c’è sempre qualcuno che paga. E, come ormai ci hanno abituati a vedere, in questo caso a pagare le spese di questa azione saranno le riserve della Banca d’Italia e l’Erario che incasserà il 12% (e non il 16 come inizialmente previsto) delle plusvalenze registrate dagli Istituti bancari. Quindi a pagare per “rifare il trucco” alle banche italiane saranno gli italiani.
E naturalmente, come ormai siamo abituati a vedere, il tutto non avverrà sulla base di una legge nazionale, ma sulla base di un trattato intergovernativo. In altre parole, tra pochi giorni un Governo incaricato da un presidente nominato da un Parlamento eletto sulla base di un sistema elettorale incostituzionale, sottoscriverà un accordo in base al quale gli italiani potrebbero essere chiamati a pagare i debiti di investitori stranieri o vedere la propria banca nazionale, quella nei cui caveau dovrebbe trovarsi l’oro accumulato dai loro padri, smembrata e data in pasto a banchieri senza scrupoli, ma con molti soldi. E, colmo dei colmi, per farlo dovranno pure pagare la ricapitalizzazione proposta e approvata da un Governo e da un Parlamento che non hanno eletto (almeno non nei modi previsti dalla Costituzione).
Nei giorni scorsi abbiamo detto che dopo il patrimonio imprenditoriale, dopo buona parte del patrimonio immobiliare, dopo parte dei beni storici, l’Unione europea si stava appropriando anche della Banca d’Italia. Forse sarebbe bene che gli italiani cominciassero a capire che, nel giro di pochi mesi, anche le banche non saranno più italiane (ammesso che lo siano ancora) e allora non avranno più nessuno strumento (parti dell’esercito l’Unione europea se l’è già prese nel 2008) per opporsi alla europeizzazione coatta e antidemocratica dell’Italia. A quel punto agli italiani non resteranno altro che i ricordi…

 

 

 

 

 


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