Il governo guidato da Mario Draghi pensa a un provvedimento per aiutare le Regioni del Nord. Nell'Isola razionamento e turni di erogazione sono realtà da tempo. «Abbiamo tanti serbatoi ma la condotte sono colabrodo», spiega il docente Antonino Cancelliere
Il nodo del decreto siccità. La situazione dell’acqua in Sicilia «Rete da sistemare e insufficiente ai cambiamenti climatici»
Una crisi idrica importante in particolare nelle Regioni del Nord Italia. Laghi svuotati, il fiume Po in secca come mai si era visto dal dopoguerra e la richiesta al governo guidato da Mario Draghi della dichiarazione dello stato d’emergenza con un decreto siccità per affrontare l’emergenza acqua, anche se la competenza finale sarà delle Regione. Il nodo siccità in Sicilia non è una novità: riduzioni e razionamenti sono pane quotidiano, specie in provincia di Agrigento, dove il fenomeno è presente anche per 12 mesi l’anno. Le preoccupazioni più forti sono naturalmente quelle legate al mondo dell’agricoltura. Il presidente della Regione Nello Musumeci ha annunciato provvedimenti, indicendo un vertice tecnico alle 18 di oggi con tutto lo stato maggiore dell’acqua in Sicilia. Compresi i consorzi di Bonifica, finiti nell’occhio del ciclone soltanto qualche mese fa, per la bocciatura dei 32 progetti per le condotte con i fondi del Piano nazionale di ripresa e resilienza presentati dalla Regione. Nell’Isola, stando agli ultimi dati, circa il 70 per cento della superficie presenta un grado medio-alto di vulnerabilità ambientale.
L’Isola, contrariamente a quanto si possa credere, ha però un numero notevole di serbatoi. Quest’ultimo dato deve essere letto con due problemi che non appaiono risolvibili, almeno nel breve periodo. «Il primo è quello della presenza di sedimenti che vengono trasportati dai corsi d’acqua. Molti serbatoi infatti non riescono ad accumulare quanto sarebbe possibile perché la capienza è ridotta dalla cattiva manutenzione. Bisogna vedere anche cosa succede negli acquedotti e nelle reti di distribuzioni e, da questo punto di vista, molte delle nostre infrastrutture sono colabrodo con buona parte dell’acqua che viene dispersa», spiega durante la trasmissione Direttora d’aria Antonino Cancelliere, docente all’università di Catania di Costruzioni idrauliche, Marittime e Idrologa.
Tra i tanti progetti che potrebbero dare una boccata d’ossigeno al sistema c’è quello della diga di Pietrarossa, tra le province di Enna e Catania. L’opera rischia però di rimane un’incompiuta. Pensata negli anni 80′ deve essere ancora completata e recentemente è finita anche tra le pagine dell‘inchiesta antimafia Agorà. «C’è anche il progetto della diga di Bolo, nei pressi di Cesarò – continua Cancelliere – Opera prevista ma con i lavori mai avviati. Su questo c’è una discussione in corso e anche noi, come università, abbiamo indicato l’utilità anche in ottica cambiamenti climatici. In Sicilia anche con una macchina infrastrutturale al 100 per 100 delle sue potenzialità il sistema sarebbe insufficiente, se pensiamo alle ripercussioni legate al clima».
«Per fortuna noi siamo abituati al caldo e a stare dieci mesi senza piogge, ma ovviamente paghiamo lo scotto di una non programmazione per quanto riguarda la gestione dell’acqua pur avendo abbastanza bacini in cui viene convogliata durante l’anno», aggiunge Vito Amantia, produttore agricolo aderente a Coldiretti Sicilia. «Negli ultimi periodi la pioggia c’è stata, basta vedere i dati sulla piovosità, ma le reti consortili sono vecchie e non viene fatta manutenzione. Appena viene aperto il flusso le condotte devono essere chiuse perché si disperdono grandi quantitativi di acqua».