Il mostruoso e il gotico tra occidente e oriente (Parte I)

Molto spesso capita di vedere al cinema o di leggere storie in cui i personaggi presentano caratteristiche fuori dall’ordinario, eccezionali, singolari. Questi esseri, di cui le taverne spaziali dei film di Star Wars ci anno abituato, sono parti deformi di chissà quale improbabile incrocio di razze; esseri dalle fattezze inverosimili, animali dai lineamenti umani o viceversa (e quant’ altro) e popolano i mondi creati dagli scrittori di fantascienza e dell’orrore che ci sono oramai diventati così familiari grazie alla televisione e al cinema, spesso di infima qualità. Il termine “mostruoso” di per sé è portatore di un doppio significato. Il primo indica una caratteristica in maggior misura legata al mondo fisico, inteso come natura, aspetto o caratteristica fuori dall’ ordinario. Ad esempio, consideriamo “mostruosa” l’abilità di uno sportivo oppure una deformazione fisica. Sebbene sia questa accezione del mostruoso quella a cui più comunemente si fa riferimento, non possiamo dimenticare che “mostruoso”, nel linguaggio meno colloquiale, veicola anche un senso di iniquità, di malvagità e corruzione.
Il mostro, se vogliamo ricercarne il significato etimologico, indica l’apparire, il manifestarsi, il mostrarsi improvviso di qualcosa di divino, di straordinario, che vìola la natura e che è un ammonimento e un avvertimento per l’uomo. Il presagio suscita un senso di meraviglia e di stupore e può essere fasto o nefasto, generando perciò rassicurazione o spavento. Nell’uso moderno però il termine mostruoso ha conservato come significato il senso di “estremamente brutto” che, per questo motivo, suscita orrore o paura. In modo analogo, passando da una attributo fisico a uno morale, viene indicato oggigiorno come mostruoso ogni comportamento estremamente negativo o criminale, la  maggior parte delle volte dovuto ad una manifestazione di malvagità gratuita o in ogni caso senza comprensibili motivazioni. Questo spiega il perché l’appellativo “mostro” venga così spesso usato nei titoli dei quotidiani. E’ più facile considerare un comportamento “mostruoso” che cercare le effettive cause che l’hanno scatenato. La letteratura che ha come uno dei temi o motivi il mostruoso trova le sue radici nel “The Castle of  Otranto” (1765) di Horace Walpole (1717-97), un romanzo che ebbe notevole diffusione in Inghilterra e che creò il nuovo genere del romanzo gotico e del terrore. Il libro “non è che un ammasso di anticaglie, anche se ingegnoso” (David Daches, “Storia della letteratura inglese Vol.2”, p.371) eppure incontrò il plauso e l’ammirazione dei più importanti scrittori dell’epoca oltre ad essere uno dei segnali del crescente interesse per tutto ciò che era strano, originale, irreale e fantastico, caratteristiche che spesso vengono attribuite ai “personaggi che vengono da fuori”, agli “stranieri” per definizione, spesso identificati nell’ottocento con tutto quello che era esotico. In Giappone lo straniero, il “gaijin” con i capelli biondi, gli occhi blu e il naso pronunciato ha sempre avuto una stretta connessione con il demone. “L’alterità è sempre stata, in parte, demoniaca. La xenofobia è umana, non occidentale” (Henry J.Huges, “Familiarity of the Strange: Japan’s Gothic Tradition”,2000). Anne Radcliffe (1764-1823) fu la scrittrice più abile nello sfruttare tutti i luoghi comuni del gotico, dai cupi castelli con passaggi segreti, passando per manoscritti ammuffiti, fino ai protagonisti “maledetti”.
Un interessante spunto per una riflessione sul termine “Gotico” viene offerto da Charles Shiro Inouye nella sua traduzione inglese delle opere di Izumi Kyoka (1873-1939). Il titolo da lui scelto per la raccolta è “Izumi Kyoka’s Japanese Gothic Tales” (1996), e nell’introduzione egli fa uno dei primi tentativi di “inserire in un contesto l’idea di Fiction Gotica giapponese”. Inouye stesso sembra non  abbia trovato niente di più che delle connessioni a Poe in quanto entrambi rappresentanti di una sorta di romanticismo decadente. Huges avanza anche una curiosa ipotesi che l’appellativo di “Gothic” gli sia stato dato solo per un motivo puramente commerciale; sfruttare la fama che stava godendo il “Gothic” è stata sicuramente un’ottima mossa per reclamizzare questo libro di uno sconosciuto autore orientale, che ha comunque il merito indiscutibile di essere riuscito a raccontare fondendoli insieme, la sofferenza tipicamente buddista che scaturisce dalle tensioni provocate dai desideri umani e la “raggiante oscurità dentro una mente romantica” (Huges). Tuttavia alcune importanti differenze hanno finito per emergere. Un punto in comune tra le due letterature potrebbe individuarsi nella creazione fittizia di  un mondo medievale o barbaro lontano dai cambiamenti apportati dalla modernità, un mondo statico e immutabile a cui entrambe le letterature sembrano aspirare e contemporaneamente cercano di rifuggire così che: “il delicato linguaggio visivo di Kyoka conserva la violenza gotica in attimi di orrenda bellezza” (Huges)
Per contro,  l’esperienza del gotico giapponese non ha come risultato una scoperta di sé, o un cambiamento interiore che individua nel bene e nel male due entità separate, come invece accade nel gotico occidentale ma al contrario l’effetto in genere è la presa di coscienza del dualismo buddista di un mondo indivisibile in cui il bene e il male coesistono, hanno sempre coesistito e sempre coesisteranno: “Gli intrecci gotici giapponesi tipicamente collocano gli esseri umani in un continuum spirituale, una ruota karmica, piuttosto che in un mondo diviso in bene e male” (Huges).
Fermo restando che il termine “gotico” si riferisce alla dominazione della Germania del XII secolo, a cui si ispirarono gli scrittori ottocenteschi, se decidessimo di usare il termine “Gothic” per descrivere un genere di racconti, dice Huges, che hanno come caratteristiche il rovesciamento delle norme sociali e religiose, l’ossessione per il sesso e la morte, e il terrore per il soprannaturale e l’ignoto, non potremmo escludere da questo appellativo scrittori giapponesi come Ueda Akinari, Ryunosuke Akutagawa, Yukio Mishima e il già citato Izumi Kyoka. Anzi dovremmo prendere coscienza che l’”Eastern Gothic” ha un glorioso predecessore nelle storie sullo straordinario e sul sovrannaturale dell’antica Cina. Sono essenzialmente racconti che sfidano il Confucianesimo: spesso non hanno nessun insegnamento morale o addirittura sovvertono il naturale ordine costituito.
 Uno degli scrittori più ammirati, famoso per la sua raccolta di 431 storie fantastiche “Liaozhai Zhiyi” (“Storie fantastiche del padiglione dei divertimenti”), fu Pu Songling (1640-1725) conosciuto come uno “storico del bizzarro”. Tramite storie di volpi trasformiste e spiriti vendicativi il testo attacca i vincoli dell’etica feudale, la corruzione del sistema degli esami imperiali e la rigidità degli obblighi sociali. Quel che manca a questi racconti è: “il totalizzante metafisico terrore che più tardi caratterizzerà il genere gotico in Giappone e in occidente. Nondimeno le storie e i racconti cinesi sono una fonte considerevole per la fiction dell’Asia orientale.” (Huges)
I cambiamenti politici della Cina nel secolo successivo finirono però per influenzare anche la letteratura e le arti. Ne approfittò il Giappone che,  ingordo di tutto ciò che la Cina offriva, metterà a disposizione della letteratura “gotica” un terreno fertile su cui germogliare.
         Dal canto loro gli autori giapponesi, pur non potendo ancora fare a meno della ispirazione (senza dubbio fruttuosa) delle culture confinanti, non erano certo stati con le mani in mano. Il modello per gli  scrittori “gotici” furono essenzialmente due libri venuti alla luce a distanza di circa duecento anni l’uno dall’altro. Innanzitutto la tradizione autoctona aveva generato ogni sorta di favole folkloristiche che vennero per la prima volta raccolte nel “Konjaku Monogatari” (1120) . Il libro tratta una grande varietà di argomenti, che spaziano da episodi della vita di santi e monaci, a brani di carattere decisamente laico mentre i personaggi sono divinità e principi, contadini e soldati, mercanti e pescatori. L’altra importante fonte di ispirazione per gli scrittori “gotici” moderni è stata lo “Heike Monogatari” (Inizio XII secolo) che narra gli eventi della guerra tra le famiglie Taira e Minamoto che portò alla fine del dominio imperiale. Il libro si abbandona facilmente a descrizioni di atrocità fuori e dentro i campi di battaglia e l’autore non si preoccupa di nascondere la crudeltà dei combattimenti, cosa che evidentemente non mancò di affascinare i suoi lettori.
Chi sicuramente non mancò di trarre ispirazione da queste opere fu Ueda Akinari (1734-1809) un medico dell’epoca Tokugawa che si dilettava nello scrivere quelle che lui chiamava “futili storielle” o “operette frivole” non si sa se con falsa modestia. Due suoi libri in particolare lo fecero diventare famoso, l’ “Ugetsu Monogatari” (“Racconti di pioggia e di luna” ,1776) e lo “Harusame Monogatari” (“Racconti della pioggia di primavera”,1808). Sono entrambi raccolte di nove racconti brevi ma nel primo sono tutti aventi in un modo o l’altro a che fare con il mondo del soprannaturale. Nel secondo, composto negli anni più avanzati della sua carriera e pubblicato postumo, invece, l’autore lascia spazio anche a racconti di carattere storico. Il vigore descrittivo delle situazioni inverosimili, fantastiche e degli esseri soprannaturali o mostruosi è il punto di forza delle sue raccolte e questo è dovuto probabilmente al fatto che ci credesse lui stesso. In una introduzione ad una recente traduzione dell’ ”Ugetsu Monogatari” ad opera di Leon M.Zolbrod è stata manifestata dal curatore una certa riluttanza nel categorizzare le novelle di Akinari, elencando una serie di topoi della letteratura cosiddetta gotica che non compaiono nell’opera da lui tradotta. Anche se quelli da lui elencati non sono i soli motivi che si dovrebbero rilevare, la sua rimane una osservazione piuttosto ragionevole.


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