Il fitto tessuto di piccole imprese artefice del boom del miele del vulcano ha un forte legame con le zone inondate. Fra gli agrumi vengono disseminati i ricoveri delle api. Quest'anno però tutto sembra già perduto, come racconta l'apicoltore Alfio Coco
Il maltempo affonda anche l’apicoltura dell’Etna L’alluvione alla Piana inghiotte arnie di Zafferana
In Sicilia, ai piedi dell’Etna, c’è un luogo che vanta un dolcissimo primato: Zafferana Etnea, un paese che fino alla metà del ‘900 basava la propria economia esclusivamente sulla pastorizia e sulla coltivazione di frutta e ortaggi ma che negli ultimi anni ha visto un vero e proprio boom dell’apicoltura. Tutto è cominciato intorno agli anni ‘70 dall’impegno di singoli contadini. Poi, a poco a poco, sono stati i figli e i nipoti a tramandarsi questa attività fino ai giorni nostri, quando possiamo contare la presenza di numerose piccole aziende e cooperative, gestite anche da giovani, che producono ed esportano miele in tutta Europa. Ma i problemi non mancano: l’uso di pesticidi e diserbanti tossici da parte di alcune aziende agricole, la mancata tutela del marchio da parte di un consorzio, i furti delle arnie e il maltempo che in queste ultime settimane ha colpito la Piana di Catania distruggendo mesi di duro lavoro.
È proprio nella piana di Catania che sono posizionate la maggior parte delle arnie degli apicoltori etnei. Qui, nella prevalenza quasi assoluta dell’arancio, viene allevato il prezioso e pregiato miele di agrumi. «I danni sono stati molto seri: le arnie perse o distrutte sono state circa 400-500», racconta Alfio Coco, apicoltore zafferanese. «Inoltre molte postazioni, anche se non sono state portate via dalla furia dell’acqua, risultano ancora irraggiungibili: le strade sono impraticabili per via di frane e dissesti. Di conseguenza non possiamo neanche andare alle arnie che si sono salvate per nutrire le api rimaste in vita». Il fatto è che in questa stagione, spiega Coco, «le api non bottinano in natura (volare in cerca di polline e nettare, ndr) perché non c’è abbastanza fioritura. Nella mia stessa situazione ci sono una decina di altri apicoltori».
«Se l’intera produzione di miele fosse un treno, il miele d’arancio sarebbe la locomotiva», aggiunge Alfio Coco. «Su di esso di basa la nostra principale fonte di guadagno, se consideriamo che le altre fioriture sono interessate da numerosi problemi». «Il castagno, ad esempio è un tipo di miele che si sta perdendo: l’albero infatti è colpito dal cinipide, un parassita sempre più diffuso; stessa cosa per l’eucalipto che oltre ad essere attaccato anch’esso da un parassita, è oggetto di una pratica di tagli sui tronchi. Altro miele pregiato sarebbe il miele di timo, presente in parte nella zona degli Iblei, ma anche questo in via d’estinzione. La sulla, invece, è utile per il foraggio quindi viene piantata dalle aziende zootecniche e ve n’è in abbondanza; con tutta quest’acqua però anche la sulla è compromessa e reimpiantarla costa troppo», chiarisce l’apicoltore.
Alla luce di ciò si capisce chiaramente come i danni causati dal maltempo sulle arnie nelle zone di Lentini, Scordia, Militello, Palagonia e Mineo siano molto gravi. Inoltre, oltre alla moria di api e ai danni economici per la perdita delle arnie e delle relative attrezzature, va considerata la delicatissima situazione idrogeologica in cui si trova il territorio della Piana: l’inverno non è ancora arrivato e il terreno è completamente imbevuto d’acqua. Come se non bastasse, si fanno sempre più frequenti i furti delle arnie. «È un fenomeno che purtroppo si sta allargando a macchia d’olio. Non siamo sostenuti da nessuno e anche su questo fronte, purtroppo siamo impotenti; non possiamo fare altro che andare a dormire la notte sperando di ritrovare le arnie al proprio posto la mattina seguente», aggiunge Alfio Coco. «La nostra azienda è nata nel 1955 e adesso siamo alla terza generazione. Quando mio nonno era in vita raccontava che di furti se ne sentiva parlare davvero molto raramente. C’erano molti meno apicoltori, più culture, meno parassiti e si riusciva, con molte meno api di oggi, a fare molto più miele di quello che si produce adesso. Prima il problema era vendere il prodotto ora invece il problema è produrlo», conclude l’apicoltore.