In tanti a Palermo sono rimasti sgomenti dopo la morte di Giovanni Romano sulla A19. Che amava la musica e scriveva racconti. «Infondeva serenità col suo sorriso dolcissimo, sempre ottimista»
Il magistrato appassionato di Sex Pistols e scrittura Il ricordo dell’editrice: «Era un uomo comprensivo»
«Nei suoi racconti c’è un senso del ritmo e delle cose molto importante, una percezione degli esseri mai giudicante. La bellezza dello sguardo di Giovanni è che aveva uno sguardo sereno e pacato, sempre comprensivo, che secondo me è la qualità migliore per essere un buon magistrato». La recensione di Dafne Munro non può che essere carica di sofferenza. Lei lo conosceva bene quel giovane magistrato, Giovanni Romano, in servizio alla procura di Enna dal 2016. Alla casa editrice Urban Apnea lo chiamavano Joe. Sapere che adesso non c’è più, inghiottito da un viadotto dopo lo scontro con un tir sulla A19 all’altezza dello svincolo di Tremonzelli, in direzione Catania, ha lasciato in tanti sgomenti a Palermo. Il pm palermitano doveva andare a Caltanissetta per una riunione, che poi è stata annullata.
E di lui, adesso, oltre i ricordi personali restano anche i suoi racconti. Basati spesso sulla memoria e con una spiccata predilezione per la musica. «Ha scritto per noi un racconto – ricorda Munro – una storia di calcio che si intitola Partita finita. Di una profondità enorme, parla di alcuni tifosi che poi si scazzottano su un treno e uno finisce accoltellato. E ha poi partecipato un ricordo su 100.Memory. Quando ci siamo confrontati per la pubblicazione ho trovato di fronte una persona molto intelligente, pacata, con una bellissima capacità d’ascolto. Siamo onorati di aver collaborato con lui. Eravamo stati insieme a fine settembre, per la festa di presentazione del libro 100.Memory».
Un magistrato, insomma, con la passione del rock. Tanto da scegliere addirittura il punk inglese dei Sex Pistols come colonna sonora del proprio racconto, basato su un ricordo dell’adolescenza: giugno 1996, Palermo, «le tre del pomeriggio e il caldo appiccicoso della città»; poi la musica di Pirates of destiny (l’ennesimo finto album di una band che in realtà ebbe uno sfolgorante anno di vita, il 1977), i versi di Schools are prisons, i capelli da lasciare allungare come un vero punkettone («altro che il barbiere macellaio di via Pitrè»). E il ricordo finale dell’editrice non può che essere dolcissimo: «Una persona di un garbo e di una gentilezza eccezionali, una persona molta equilibrata. Infondeva serenità col suo sorriso dolcissimo, sempre ottimista. Lui e la moglie formavano una coppia bellissima, di quelle che si invidiano. Un ragazzo così giovane e così determinato ha fatto una fine così atroce, è andato incontro in maniera ineluttabile al suo destino».