«Il giornalismo con la schiena dritta»

«Ecco. Io sono nato in un mondo in cui contato soltanto le parole non dette […]. Mi chiamo Giuseppe, vivo in una casetta di marzapane e qui in paese mi credono un matto, perché ho deciso di riprenderle, le parole non dette […]. Sono Giuseppe e nell’isola delle parole non dette ne hanno inventate di nuove, solo per me». Così ha recitato Giulio Cavalli, attore ed autore teatrale, martedì scorso, presso il centro Zo di Catania, aprendo la tavola rotonda a margine della quale è stato conferito il Premio Fava al giornalista di Report Sigfrido Ranucci, autore della celebre inchiesta su Catania. A Cavalli è stato invece assegnato il premio Fava giovani. A intrecciare i fili della conversazione è stata Antonella Mascali, redattrice di Radio Popolare e collaboratrice de “Il Fatto Quotidiano”, che ha intervistato Armando Spataro, procuratore aggiunto di Milano, Claudio Fava e il premiato Sigfrido Ranucci.

Argomento principe della discussione è stata l’informazione, o meglio, la sua assenza. Con molti riferimenti al caso Abu Omar e ai rapporti tra stampa e servizi segreti. Sotto accusa Renato Farina che, ha ricordato la Mascali, «ha tradito il suo ruolo: se sei un giornalista non puoi lavorare coi servizi segreti né, tantomeno, essere pagato da loro. Farina ha ammesso i suoi rapporti con il Sismi, è stato radiato dall’albo, ma continua a scrivere, oltre che a sedere in Parlamento».

«La storia di Farina è abbastanza nota», è intervenuto Spataro, «ma c’è qualcosa di ancora più preoccupante: il giornalismo d’inchiesta, in Italia, è quasi un’eccezione non praticata. In taluni casi, giornalisti in rapporto con il Sismi hanno ricevuto scoop volti a magnificare il lavoro dei servizi segreti, e hanno taciuto ai loro direttori i nomi delle fonti poiché appartenenti agli stessi servizi… E’ una questione da affrontare con la massima serietà, e devono occuparsene, per primi, gli stessi giornalisti che tradiscono la deontologia per andare a caccia di notizie, senza analizzare i fatti».

I fatti, questi sconosciuti: «Pollari, ex capo dei servizi segreti», ha raccontato Fava, agganciandosi alle discussioni precedenti, «è stato trovato in possesso di ben 45 fascicoli, l’archivio segreto del Sismi, volti a disarticolare l’informazione e le istituzioni. E c’è un processo in corso, in relazione a questa vicenda. Adesso, dopo essere andato in pensione per raggiunti limiti di età, Pollari è il capo della sicurezza personale di Berlusconi, ed è lo stesso uomo del rapimento illecito di Abu Omar, caso per il quale è stato coperto sia da Prodi sia dallo stesso Berlusconi, sotto i cui governi è stata concessa la possibilità di estendere il segreto di stato, rendendo vane moltissime indagini della procura».

Le parole non dette con le quali Giulio Cavalli ha introdotto l’incontro sembrano essere quelle che meglio descrivono l’Italia, quell’Italia che «spalma sulla copertina di una rivista patinata in omaggio col giornale di Feltri la faccia di un Ercolano», ha continuato Fava. «L’hanno usato come esempio di imprenditoria virtuosa del meridione, grazie alla Sud Trasporti s.r.l., dentro i cui camion, anni fa, venivano trasportati i latitanti più ricercati. Okay, Angelo Ercolano è incensurato, ma il ricordo di chi c’è stato prima di lui non può essere cancellato. Bastava che lo si scrivesse, chi erano gli Ercolano, che si dicesse che Aldo Ercolano, cugino di Angelo, è in carcere per aver ucciso Giuseppe Fava, e che Giuseppe Ercolano era nell’ufficio di Ciancio a chiedere che, su LaSicilia, non lo si chiamasse “boss”. Memoria, è questa la parola non detta».

Ricordare per indignarsi e avere il coraggio di non smettere di arrabbiarsi perché, ad esempio, «un uomo come Nicola Cosentino, che da numerosi pentiti viene indicato come legato al clan dei casalesi, sieda ancora in Parlamento e abbia perfino rischiato di diventare governatore della regione Campania. Per ben due volte la mozione di sfiducia contro di lui è stata votata, e per due volte ha perso, nonostante che in un’occasione l’opposizione avesse i numeri per vincere».

Ma per ricordare qualcosa bisogna conoscerla, e il problema dell’informazione torna a porsi sotto l’attenzione di tutti. Sigfrido Ranucci, lavorando per Report e non solo, le storie prova a raccontarle. «Nel settembre 2000», ha approfondito, «trovai l’ultima intervista di Paolo Borsellino, rilasciata a due giornalisti francesi. Entrò a far parte di uno speciale di cinquanta minuti che avremmo dovuto mandare in onda su Rainews24 ma fu censurato: si diceva tutto quello che è emerso, da pochissimo, durante le indagini su Dell’Utri, Mangano e Berlusconi. Lo speciale fu trasmesso diverso tempo dopo, su canale satellitare, alle 23, quasi volesse disturbare il sonno…»

Al termine del suo intervento, alle 20:00, Elena Fava gli ha consegnato il premio. «Per il giornalismo fatto con la schiena dritta», ha spiegato.


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