Una parlata incomprensibile usata in 13 Comuni di quattro province. «Non è ovunque uguale, in alcune aree si trova quello autentico», spiega a MeridioNews Salvatore Trovato, ordinario di Unict e autore di un dizionario. Guarda l'infografica
Il galloitalico, l’eredità immateriale della Sicilia lombarda Esperto: «È un dialetto vivo che si trasforma velocemente»
Ci sono tredici comuni sparsi nell’Isola accomunati da una lingua strana e dal suono settentrionale: il galloitalico. Una parlata incomprensibile e sconosciuta perfino ai siciliani dei territori confinanti che arriva da lontano, dalle migrazioni di nuclei alto-italiani avvenuta tra l’XI e il XIII secolo, durante la dominazione dei Normanni che lottavano per contrastare la presenza araba. Originario non solo della Lombardia ma anche del Piemonte, della Liguria e dell’Emilia-Romagna, il galloitalico è un substrato celtico che mischia elementi francesi e siciliani alla fonetica lombarda. «Non è ovunque lo stesso dialetto, però, in alcune zone dell’isola è più annacquato mentre in altre si può ancora trovare proprio quello autentico», spiega a MeridioNews Salvatore Trovato, ordinario di Linguistica generale e glottologia all’Università di Catania, oggi in pensione, che è anche un esperto e un parlante del galloitalico.
Un secondo dialetto diffuso a macchia di leopardo in quattro province dell’Isola. Nel Catanese si parla a Randazzo e Caltagirone; nell’Ennese a Nicosia, Sperlinga e Piazza Armerina; in provincia di Messina comunicano normalmente anche in galloitalico i residenti di San Piero Patti, Montalbano Elicona (e frazioni), San Fratello, Novara di Sicilia e Fondachelli fantina; tre sono poi i comuni galloitalici in provincia di Siracusa: Buccheri, Cassaro e Ferla. «In questi casi si parla di un fenomeno di bilinguismo dialettale – analizza Trovato – I territori dove è più radicato e meno comprensibile per chi non lo parla sono quelli di San Fratello e Nicosia. In quasi mille anni di importazione in Sicilia, il galloitalico si è anche arricchito con il dialetto locale», fa notare il docente che è anche autore del libro Parole galloitaliche in Sicilia e di un vocabolario del dialetto galloitalico «che pesa più di tre chili».
Con la legge regionale 9/2011 per la valorizzazione del patrimonio linguistico, il galloitalico è stato inserito nel Registro delle eredità immateriali della Sicilia. A settembre del 2020, è stato presentato al Senato un disegno di legge per l’inserimento del galloitalico di Sicilia tra le minoranze linguistiche riconosciute e tutelate dalla legge nazionale 482/1999. Un modo per proteggere un’eredità della Sicilia lombarda. «Io non credo alla morte dei dialetti – afferma il professor Trovato – In questo periodo si stanno trasformando in maniera più rapida rispetto a quanto abbiano fatto nel passato e questo è l’esempio pratico della vitalità dei dialetti». Un riflesso della globalizzazione a livello iperlocale. Nella maggior parte dei casi, i giovani il galloitalico lo capiscono ma lo praticano poco o male e, anche in famiglia, parlano italiano o siciliano. «Questo cambia da zona in zona, ma anche in base all’ambiente sociale – sottolinea Trovato – In molte circostanze dipende dai genitori che non vogliono tramandarlo anche per un ingiustificato senso di vergogna. Ma, invece – conclude – ci sono anche situazioni, specie a Nicosia e a San Fratello, dove ci si impossessa anche di termini siciliani e perfino italiani per adattarli al galloitalico».