«Non solo era in mobilità - dice in una nota l'avvocato Cappellano Seminara, attualmente indagato insieme al Giudice Saguto per corruzione nell'ambito di una inchiesta sulla gestione dei beni confiscati - ma aveva rifiutato di essere assunto alle medesime condizioni presso la Cava Valle Rena di Altofonte. Chi versa in condizioni economiche difficili non rifiuta il lavoro che gli viene offerto»
Il duplice omicidio di Trabia La Russa aveva rifiutato un posto di lavoro
«Francesco La Russa non è una vittima della crisi economica o delle politiche dell’Amministrazione Giudiziaria. E’ un criminale che ha distrutto 2 famiglie». Sono le parole dell’avvocato Gaetano Cappellano Seminara in merito al drammatico fatto di cronaca di ieri, il duplice omicidio in contrada Giardinello, in un’area al confine con Termini Imerese. Una sparatoria in una cava in amministrazione giudiziaria che è costata la vita a Gianluca Grimaldi, consulente per la sicurezza, 38 anni, e al direttore responsabile Giovanni Sorce, 59 anni, uccisi perchè ritenuti i responsabili della sua crisi economica. La Russa era stato licenziato lo scorso 5 settembre dal cantiere in amministrazione giudiziaria.
«Non solo era in mobilità – aggiunge l’avvocato, attualmente indagato insieme al Giudice Saguto – ma aveva rifiutato di essere assunto alle medesime condizioni presso la Cava Valle Rena di Altofonte che dista solo 10 km da Cava Giardinello. Chi versa in condizioni economiche difficili non rifiuta il lavoro che gli viene offerto».
Poi la nota polemica legata a quanto sta accadendo in questi giorni e che riguarda Cappellano Seminara in prima persona. L’avvocato infatti, attualmente è indagato per corruzione nell’ambito di una inchiesta sulla gestione dei beni confiscat, insieme al giudice Silvana Saguto – ex presidente delle Misure di prevenzione – e al marito del giudice, Lorenzo Caramma: «Osservo che l’ingiustificata e ingiustificabile furia omicida di Francesco La Russa è esplosa dopo nove mesi dalla sua messa in mobilità – dice – e solo in concomitanza al clamore che ha suscitato l’inchiesta da parte della Procura della Repubblica di Caltanissetta e che ha finito per scatenare attacchi personali nei confronti di tutti coloro che gestiscono i beni sequestrati alle mafie accusati di arricchirsi in danno dei titolari delle imprese dei proposti e dei loro dipendenti. Sicuramente – conclude – l’osservanza del prescritto segreto delle indagini preliminari avrebbe contribuito ad evitare il formarsi di giudizi sommari ed affrettati oltre che infondati».