Il diritto d’intervento dei lettori

I media sono attraversati da una bufera. Una rivoluzione tecnologica di una rapidità inaudita li scuote, mentre i vecchi equilibri economici vacillano. Ma i media sono scossi, anche e soprattutto, da coloro da cui dipendono: i cittadini-lettori, che esigono mutamenti radicali. La vera crisi sta lì: nel loro rapporto coi cittadini-giornalisti. Si vede nelle inchieste d’opinione, nelle pagine della posta dei lettori e soprattutto nei siti dell’informazione on line. Non si tratta di un fenomeno piacevole per la nostra professione. Ma la prova è salutare.

Partiamo da una constatazione elementare, valida da almeno dieci anni: nell’opinione pubblica la stampa gode di una pessima reputazione. Ogni anno il giornale La Croix studia, assieme all’agenzia Sofres, il grado di fiducia accordato ai media. Il risultato non ha nulla di rassicurante: il numero di quelli che non hanno fiducia nei giornalisti supera regolarmente il 40%. Spesso è maggioritario. Certo, la radio si tira fuori. Certo, internet si è guadagnata un po’ più di credibilità rispetto ai media “ufficiali”. Ma sono magre consolazioni. Che ne direste di un’industria della quale il 40% dei consumatori non si fida? Che ne sarebbe delle fabbriche di automobili se più di un terzo dei guidatori giudicassero pericoloso il proprio veicolo? O dei laboratori farmaceutici, se i pazienti non credessero nei medicinali? Eppure è questo l’indice di gradimento ottenuto negli ultimi dieci anni dall’industria dell’informazione.

Alcuni credono che la salvezza verrà da internet. Ed è vero che, oltre alle sue immense capacità tecnonologiche, il web rovescia il rapporto tra produttori e consumatori di informazione. Esso offre un’inedita libertà di scelta e consente a chicchessia di trasformarsi in giornalista. Dunque il citizen-journalism vi sembra fiorire. Ma offre davvero una soluzione alla crisi di fiducia che ha colpito l’informazione mondiale? Non è affatto certo.

«Il socialismo non funzionerà – diceva Oscar Wilde – perché ci vuole troppo tempo per realizzarlo». Come nella maggior parte dei paradossi del poeta-carcerato di Reading, la battuta è profonda. La costruzione di una nuova società esigerebbe una mobilitazione totale dei cittadini. Una sfida troppo ardua. La stessa cosa si potrebbe dire del citizen-journalism. La scrittura dell’informazione, piccola o grande, richiede disciplina, competenza e moltissimo tempo. Potenzialmente ogni cittadino sarebbe capace di farcela. Tuttavia egli dovrebbe consacrarsi completamente a questa impresa, alla maniera di un professionista. In mancanza di ciò, le voci infondate e le false notizie finiranno con l’infestare la “contro-informazione” molto più in fretta di quanto ciò non accada nel “giornalismo ufficiale”. Così, invece di costituire una vera alternativa, il discredito nei confronti della “contro-informazione” si sommerà a quello nei confronti dei media tradizionali.

No, il giornalismo dovrà salvarsi da se stesso. Con lo sforzo di preservare o di conquistare la propria indipendenza rispetto ai poteri, è ovvio. Ma soprattutto attraverso la capacità di stabilire un nuovo legame coi lettori, gli ascoltatori e gli spettatori. Un tipo di legame nel quale l’umiltà e il rigore dei giornalisti diventeranno la regola, e il diritto d’intervento dei lettori un’abitudine. Un legame egualitario, mediante il quale chi emette le informazioni non è più in posizione dominante rispetto a chi le riceve. Soltanto a tale condizione i cittadini potranno riconciliarsi con i media. E i media sopravviveranno.

[Questo articolo è comparso col titolo Droit d’intervention su Libération del 20 agosto 2007, p. 3. La traduzione è stata curata dalla redazione di Step1]


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