Il delitto Agostino e quel processo in ritardo di quasi 31 anni Repici: «È tempo di svelare verità nere dell’anima dello Stato»

«Questa giornata storica la dedico a voi quattro». Poche parole, quelle di Nunzia Agostino, ma in grado di rendere l’idea delle proporzioni dell’evento. Dopo trent’anni ci saranno delle persone sedute al banco degli imputati per l’omicidio di Nino Agostino e di sua moglie Ida Castelluccio, freddata insieme al marito quando era incinta. La quarta persona di cui la sorella di Nino parla è loro madre Augusta Schiera, scomparsa lo scorso anno. Si tratta solo dell’inizio di un cammino, quello processuale, che si potrebbe anche rivelare lungo e faticoso, ma per la famiglia Agostino è una liberazione. Il perché sta tutto nelle parole del loro legale, Fabio Repici, che a Meridionews ricorda: «Per trent’anni e undici mesi lo Stato non è stato in grado di avviare un processo».

Trent’anni e undici mesi in cui la ricerca della verità per tutta la famiglia Agostino, capitanata dal padre Vincenzo, diventato col tempo un’icona della lotta alla mafia, un uomo che ha portato sempre con sé il proprio dolore con estrema dignità; ha rischiato di infrangersi persino contro l’ombra dell’archiviazione, che negli ultimi anni si aggirava tristemente sulla vicenda. Adesso Vincenzo Agostino potrà guardare in faccia le persone accusate di avere ucciso i suoi cari: i boss Gaetano Scotto e Nino Madonia il terzo indagato, Francesco Paolo Rizzuto, che dovrà rispondere di favoreggiamento aggravato.

«Una giornata fortunata per le sorti della repubblica – dice Repici – la celebrazione di questo processo, finalmente, a quasi 31 anni di distanza dell’omicidio, è il segno che i tempi sono maturi perché vengano disvelate verità nere dell’anima dello Stato, perché quello di Antonino Agostino è un omicidio che vede il coinvolgimento diretto della mafia in concorso con esponenti della polizia e dello Stato. E questo grazie all’operato di tre magistrati eccezionali e della Dia, siamo arrivati a questo». Proprio la Dia, incaricata di svolgere le indagini dalla Procura generale, che aveva avocato il caso dopo la richiesta di archiviazione presentata dai Pm della Procura di Palermo, aveva stretto le manette intorno ai polsi a Gaetano Scotto lo scorso 18 febbraio. In quell’occasione si parlò di un ruolo del re dell’Arenella all’interno del caso Agostino, pur senza mai entrare nei dettagli per non compromettere le indagini che si concretizzeranno poi con sviluppi determinanti.

Ma tra le carte prodotte dalla Dia c’è anche una luce nuova sulla figura dello stesso Nino Agostino, poliziotto assegnato alla squadra volanti, ma impegnato effettivamente, secondo quanto scoperto degli inquirenti, in una struttura di intelligence che lavorava a stretto contatto con i servizi segreti per la ricerca di latitanti di mafia. Una struttura di cui avrebbe fatto parte anche Emanuele Piazza, altro agente di polizia ucciso l’anno dopo Nino Agostino, l’ex agente di polizia Guido Paolilli, più volte chiamato a testimoniare nel corso delle passate udienze, ma soprattutto una struttura con cui lavorava anche Giovanni Aiello, il faccia di mostro che per anni ha affollato gli incubi degli Agostino, un ex poliziotto vicino ai servizi segreti, con alle spalle una storia piena di ombre, morto un anno fa per attacco cardiaco.

Ombre che sarebbero aleggiate non solo su Aiello, ma anche su diversi altri componenti della squadra, con le intercettazioni telefoniche in grado di dimostrare la partecipazione di alcune parti di quesa struttura speciale nel depistaggio sistematico di diverse inchieste del tempo. Le stesse intercettazioni che hanno documentato i contatti tra Nino Agostino e il giudice istruttore Giovanni Falcone all’epoca delle indagini sulla cosiddetta pista nera dietro all’omicidio di Piersanti Mattarella. La condanna a morte di Agostino, che secondo la Dia, avrebbe fiutato le reali intenzioni di alcuni suoi colleghi all’interno della squadra, sarebbe arrivata proprio dopo il suo allontanamento dalla struttura, avvenuto poco prima del matrimonio dell’agente. 

Adesso sta per essere scritto un nuovo capitolo della vicenda, dal finale tutt’altro che scontato. Una nuova battaglia che l’avvocato Repici promette di affrontare con «assoluta dedizione e assoluta irremovibilità nella ricerca di tutta la verità. E quando dico tutta intendo non solo la responsabilità degli uomini di mafia che hanno sparato, ma anche di tutti quegli interna corporis della polizia di Stato e delle istituzioni che sono stati coinvolti». 


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