Il cucchiaio nelle orecchie/Enzo Sellerio

Vorrei parlare di chi non va via. Dunque per esempio non di Enzo Sellerio. Di chi va via si finisce col dire cose che non si sono volute dire quando era in vita. Di chi va via si prova invidia e chi resta ha la tentazione di rimestare nel vuoto che lascia dimenticando il pieno che ha ancora in corpo. La morte degli altri non dovrebbe disturbare le tracce, le caccole, il personale seminato. Così in vita oltre la morte degli altri resistono le quaglie, le coniglie, i quarquarazzi, insomma le differenze. Quanti amici andati via non hanno una statua, una tomba ma rimangono fossa nella nostra testa. Vorrei parlare di chi resta a guardia della propria fortezza, di chi col sangue o esangue difende l’inintellegibile forza dell’esserci, non avendo altro avversario che se medesimo. Gli altri non siamo noi, noi non abbiamo alcun obbligo di riverire i morti. Nessun obbligo compete alla casualità dell’esserci. Sopravviviamo sino a quando il caso non diventa destino, armati ogni mattina di contundenti cornetti alla crema. Un mondo di prefiche prostrato in giaculatorie sull’altare di mac donald ci fa sentire attendibili. Non è corretto parlare dei morti sino a quando si è in vita. Bisognerebbe pretendere dai morti che parlino con noi vivi. Ma non ce la sanno.


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Vorrei parlare di chi non va via. Dunque per esempio non di enzo sellerio. Di chi va via si finisce col dire cose che non si sono volute dire quando era in vita. Di chi va via si prova invidia e chi resta ha la tentazione di rimestare nel vuoto che lascia dimenticando il pieno che ha ancora in corpo. La morte degli altri non dovrebbe disturbare le tracce, le caccole, il personale seminato. Così in vita oltre la morte degli altri resistono le quaglie, le coniglie, i quarquarazzi, insomma le differenze. Quanti amici andati via non hanno una statua, una tomba ma rimangono fossa nella nostra testa. Vorrei parlare di chi resta a guardia della propria fortezza, di chi col sangue o esangue difende l’inintellegibile forza dell’esserci, non avendo altro avversario che se medesimo. Gli altri non siamo noi, noi non abbiamo alcun obbligo di riverire i morti. Nessun obbligo compete alla casualità dell’esserci. Sopravviviamo sino a quando il caso non diventa destino, armati ogni mattina di contundenti cornetti alla crema. Un mondo di prefiche prostrato in giaculatorie sull’altare di mac donald ci fa sentire attendibili. Non è corretto parlare dei morti sino a quando si è in vita. Bisognerebbe pretendere dai morti che parlino con noi vivi. Ma non ce la sanno.

Vorrei parlare di chi non va via. Dunque per esempio non di enzo sellerio. Di chi va via si finisce col dire cose che non si sono volute dire quando era in vita. Di chi va via si prova invidia e chi resta ha la tentazione di rimestare nel vuoto che lascia dimenticando il pieno che ha ancora in corpo. La morte degli altri non dovrebbe disturbare le tracce, le caccole, il personale seminato. Così in vita oltre la morte degli altri resistono le quaglie, le coniglie, i quarquarazzi, insomma le differenze. Quanti amici andati via non hanno una statua, una tomba ma rimangono fossa nella nostra testa. Vorrei parlare di chi resta a guardia della propria fortezza, di chi col sangue o esangue difende l’inintellegibile forza dell’esserci, non avendo altro avversario che se medesimo. Gli altri non siamo noi, noi non abbiamo alcun obbligo di riverire i morti. Nessun obbligo compete alla casualità dell’esserci. Sopravviviamo sino a quando il caso non diventa destino, armati ogni mattina di contundenti cornetti alla crema. Un mondo di prefiche prostrato in giaculatorie sull’altare di mac donald ci fa sentire attendibili. Non è corretto parlare dei morti sino a quando si è in vita. Bisognerebbe pretendere dai morti che parlino con noi vivi. Ma non ce la sanno.

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