Il cielo sopra Librino

Il cielo è di un azzurro limpidissimo.

Ingorghi di autovetture non ce ne sono perché le strade sono larghe e le macchine sfrecciano senza guardare né a destra né a sinistra.

Potremmo trovarci in qualsiasi periferia d’Europa, invece siamo a Librino.

Quindici anni prima Angela viveva a Catania, in via Garibaldi: poche stanze occupate da ‘mmarazzi, letti col telaio metallico pieghevole e blatte ai piedi del frigo in stato d’assedio. Tra le antiche stradine addossate ai palazzi del settecento ammuffiti che cadono a pezzi e si fanno dormitorio dei senza tetto, lei s’è fatta grande, e a quattordici anni, in età da marito, se n’è fuiuta a Librino con la pancia gonfia di tre mesi. Di notte ha caricato sulla Fiat Uno di Girolamo della roba, vestiti, coperte, il ferro da stiro, due sedie; il tavolo bianco di plastica l’hanno tolto via dal camion dei panini; e così sono arrivati un po’ scantati in via della Concordia. Perché laggiù, nella città satellite, c’era un buio che sembrava essere finiti nello spazio interplanetario. Ma il satellite non è mai volato in cielo, e le stelle si ammirano ormai da quaggiù. Girolamo s’è portato l’attrezzatura da meccanico, col piede di porco ha scardinato il portone di un casermone alto cinque piani senza ascensore, e poi col faro ha fatto luce per le scale. Loro sono saliti fino al quinto piano, e hanno trovato un appartamento ancora sigillato con lo scotch. È bastata una forte spallata per incominciare a vivere a Librino. Senza luce e acqua, s’intende, coi tubi rotti e l’umidità che si spande per le pareti mischiata al grigio del cemento. La luce è arrivata dopo. Dopo nove anni, che salivano le scale con la candela. Il contatore l’hanno portato alla signora di sotto; ed è come se l’avessero messo anche a loro perché la luce se arriva è abusiva, con l’allaccio illegale. Ma ci si mette d’accordo ed è sbirru chi parla. Al marito l’hanno ammazzato sotto casa, forse perché s’era messo nel giro delle corse illegali dei cavalli. Chi l’ha ucciso veniva da fuori, almeno Angela non l’ha riconosciuto sulla foto del giornale. Forse veniva dal palazzo di Cemento, dove i carusi girano col motorino notte e giorno, e parlano poco. Dal palazzo di via della Concordia invece si vede tutto. Si taliano tutte le strade, gli autobus che arrivano e i picciriddi che scendono. Lontano si vede un bel campetto in erba, ma è lontano da lì, in via del Maggiolino. Invece per i picciriddi di Angela c’è un campetto in asfalto che appena cascano si rompono tutti. I bambini di pomeriggio scendono sotto i portici e giocano tra di loro, col cugino, il figlio della vicina, un po’ intorno alla panchina, vicino a quegli altri che abitano dentro le case con le ruote, le roulotte, e ci abitano da tanto che c’hanno posizionato anche l’antenna della tivvù. Angela non è vedova, ma ragazza madre, perché non s’è mai sposata; e dopo che Girolamo è morto, lei fa da papà e mamma, senza travàgghiu. Quando i bambini giocano fuori li spia dalla finestra perché si scanta dei più grandi, che alzano le mani per qualsiasi cosa: dove arrivano le legnate arrivano, e sono consumati dal fumo, sono consumati e basta guardarli e fare qualcosa che isano i manu. Chista è la malavita, quando non c’è travàgghiu, e quando c’è non si può dire che cosa è. I masculi più grandi si fanno, più s’allontanano da casa. E nel quartiere significa non dormire la notte, anzi perdersi dietro ai delinquenti. E siccome Giovanni è masculo la mamma c’ha gli incubi che si consuma, perché se rubi il mangianastri o l’impianto, gli altri ti coprono. Ti coprono oggi, ti coprono domani, e poi non ti si può riprendere più. Per la bambina è diverso, lei sta in casa, e se esce Angela la segue a vista, non si sa mai. Ada vuole fare la parrucchiera, Giovanni il pasticcere o lavorare al camion dei panini oppure al bar.

 

L’area territoriale destinata alla costruzione di Librino venne stabilita dal Piano Regolatore Generale all’inizio degli anni ’60, adottato nel 1964 e approvato nel 1969. Con il piano di Piccinato, mentre veniva confermata l’ubicazione nell’area industriale a sud dell’aeroporto, alla periferia meridionale della città si aggiungevano una grande quantità di attrezzature di interesse urbano e una vasta area di edilizia residenziale pubblica.  Kenzo Tange fu l’architetto che nel 1970 assunse l’incarico di progettare Librino. In uno scritto del 1976 Tange, recatosi a Catania, visitando la zona di Librino, affermò di voler integrare il paesaggio con le costruzioni attraverso l’edificazione di un sistema stradale ad anelli, costituiti da strade a due carreggiate che dovevano circondare i nuclei residenziali, quest’ultimi sarebbero stati capaci di ospitare, ognuno, circa 7000 abitanti. Al sistema stradale veicolare se ne affiancava uno pedonale, immerso nel verde, costituito da un grande parco centrale e da alcune “lingue” di verde, chiamate spine, che dovevano ricucire le residenze alle attrezzature pubbliche, uffici, impianti sportivi, strutture religiose in armonia con il territorio presente.  Il progetto originario di Piccinato e di Tange, però, non divenne mai esecutivo perché emersero fattori contrari. Negli anni successivi Librino fu oggetto di una selvaggia edificazione abusiva che rese necessaria una variante che inglobasse gli insediamenti costruiti. Con essa la densità territoriale venne aumentata, di fatto a danno delle aree destinate ad uso pubblico, portando la previsione originaria di abitanti da 62000 a 70000.

 

Oggi a Librino non vi sono uffici pubblici, oltre l’ASL e la Polizia. Le Suore Salesiane provano a far sorgere una casa di solidarietà e aiuto per i più bisognosi. Ai piedi dei palazzi, dentro i portici, l’unico passatempo per i bambini sono i bigliardini o le scivole sul prato. Di notte i padri bloccano le strade pubbliche e organizzano le corse illegali dei cavalli. Un bambino seduto su una panchina arrugginita stringe una radiolina che canta…

… e il cielo è sempre più blu.

 

 

vedi anche il reportage della serie LA CITTA INVISIBILE: “I fiori di Librino” di Sara Frisina


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