Il calcio spiegato ai difensori del Catanzaro (In altre parole: quant’è bello vincere facile)

Un luogo comune vieto, e biecamente maschilista, vuole che le donne, anche quelle che si dilettano di calcio, non possano sostenere fino in fondo un serio dibattito su un argomento di così vitale importanza perché – quale che sia la passione con la quale seguono lo sport – è quasi impossibile trovarne una che abbia capito veramente la regola del fuorigioco. Ogni volta che si appressano i Mondiali, e che la percentuale di pubblico femminile raggiunge picchi altrimenti inarrivabili, si moltiplicano in effetti i racconti di quanti sostengono di avere inutilmente cercato di erudire le proprie consorti, o suocere o mamme, sul più insondabile arcano del gioco del pallone. Esiste in merito un’ampia letteratura su cui non è qui il caso di soffermarsi: chi si compiace di queste futilità, del resto, può facilmente reperirla con una ricerca su Google.

Io credo però che sia doveroso protestare contro atteggiamenti così sommari, inficiati da pregiudizi, e che in definitiva dimostrano soltanto la nostra smisurata supponenza di maschietti. Sarei anche lieto di potermi dissociare da questo luogo comune fornendo qui dei dati statistici sulla comprensione teorica del fuorigioco da parte del pubblico femminile; ma purtroppo non sono in possesso di dati attendibili. Ho in compenso la prova provata che esistono molte persone, di sesso indubbiamente maschile, che non hanno ancora capito questa regola. Con l’aggravante che alcune di esse, di mestiere, giocano a pallone. Per esempio, con le mansioni di difensori del Catanzaro.

Non si spiegherebbe altrimenti il fatto che questo pomeriggio, quando già il Catania conduceva per una rete a zero contro i calabresi, la difesa ospite abbia tranquillamente lasciato che il centravanti rossazzurro Calil ricevesse un pallone, su fallo laterale, ben oltre la linea della difesa avversaria. Posizione nella quale ci si trova di norma in fuorigioco, salvo che in pochissime eccezioni chiaramente previste dal regolamento. Una delle quali è appunto costituita dalla circostanza che il pallone sia stato fornito all’attaccante da una rimessa laterale. Una leggerezza, questa, che ha spianato a Calil la strada per andare a segnare il gol del due a zero. E ha consentito al Catania di chiudere già dopo pochi minuti i conti della partita.

Sospetto anche che, tra i fondamentali che non sono stati spiegati ai nostri odierni avversari, ci sia stata anche la norma di buonsenso che sconsiglia ai portieri di tenere le gambe divaricate quando un pallone rimbalza a terra in prossimità delle stesse. Giusto per evitare che il suddetto pallone, malignamente profittando della propria proverbiale sfericità e accidentalmente sfuggendo alle mani guantate che vorrebbero afferrarlo, vada a ruzzolare dentro quel tunnel di muscoli e ossa e finisca per infilarsi, magari, in rete. Cosa che è successa, sempre questo pomeriggio, al portiere del Catanzaro Scuffia, quando sul finire del primo tempo si apprestava, con troppa sicurezza, a raccogliere un innocuo lancio effettuato quasi da centrocampo da Musacci. Che così, in modo del tutto preterintenzionale, è divenuto l’autore del nostro terzo gol.

È poi finita 4-1, contando oltre ai due già citati il primo gol di Calderini e il quarto di Falcone; nonché un rigore segnato dal Catanzaro a partita ormai chiusa. E non si può negare che questo pomeriggio il Catania ci abbia fatto divertire, anche se non è facile dire se ci abbia dato più soddisfazione la bravura dei nostri giocatori, o non piuttosto la sesquipedale scarsezza degli avversari. Come che sia, la classifica oggi dice che, se finisse il campionato in questo momento, il Catania non sarebbe più retrocesso. E non è poca cosa, per una squadra partita con nove punti di penalizzazione.

E così, finisce anche quel ciclo di partite ravvicinate (ne abbiamo giocate tre negli ultimi sette giorni) cui il Catania è stato costretto, per via della confusione e dei ritardi creati dalle vicende giudiziarie di questa estate. E finisce nel migliore dei modi: su questo, davvero, non c’è nulla da dire.

Anzi no, una cosa da dire ancora c’è: ceterum censeo Pulvirentem esse pellendum.


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