Il business della droga dall’Albania a Catania Al vertice il cugino dell’ex ministro albanese

Una parentela può dire molto. Specie se con un ex ministro – non più in carica da marzo – molto chiacchierato perché accusato in patria di proteggere un clan di trafficanti di droga. In Albania la notizia dell’arresto di Moisi Habilaj ha creato un vero e proprio terremoto politico. Il 39enne, catturato ieri dagli uomini del Gico del nucleo di polizia tributaria della guardia di finanza di Catania nell’ambito dell’operazione Rosa dei venti, è il cugino dell’ex titolare dell’Interno Saimir Tahiri. Finito nel 2015 nell’occhio del ciclone dopo le rivelazioni del capo della polizia di frontiera di Valona, Dritan Zagani, che lo ha accusato pubblicamente di essere colluso con il crimine organizzato locale che si occupa di esportare marijuana dai Balcani. Secondo le rivelazioni del poliziotto – poi costretto a rifugiarsi in Svizzera perché sospettato di vendere notizie alle autorità italiane e per questo ricercato – i cugini del ministro avrebbero trasportato la droga anche sfruttando l’auto privata del politico. Una Audi A8 più volte monitorata di passaggio dalla frontiera greca ma non solo. Il diretto interessato, dal canto suo, ha sempre smentito spiegando di avere venduto il mezzo ai cugini, ma in nero, già nel 2013. Le verifiche dei detective italiani, però, raccontano una storia diversa, in cui emerge anche il nome del politico. 

Se avessi avuto un kalashnikov li avrei stesi tutti

Moisi Habilaj in Sicilia avrebbe il ponte principale per i suoi affari, grazie a una fitta rete di grossisti capaci di comprare in contanti centinaia di chilogrammi di marijuana e poi piazzarla senza distinzioni a tutti i clan mafiosi attivi nelle piazze di spaccio. Non solo di Catania, ma anche in quelle di Siracusa e Ragusa. In Albania sul cugino del ministro si sono concentrati solo tanti sospetti. Mai indagato, mai arrestato, ma più volte fotografato, per esempio, con il capo della polizia di frontiera del villaggio costiero di Dhermi. Uno spartito fatto di continui viaggi dall’Albania alla Sicilia, passando per la Puglia, per concordare vendite di droga, bonificare i luoghi d’attracco dei natanti e quelli destinati allo stoccaggio degli stupefacenti. 

Indizi che conducono a nomi e cognomi. Come quello di Antonino Riela, presunto referente nel capoluogo etneo per l’acquisto della droga dall’Albania. I militari a novembre 2013 monitorano un incontro tra quest’ultimo e Florian Habilaj, fratello di Moisi e quindi anch’egli cugino del ministro Tahiri. Il faccia a faccia avviene nel quartiere di San Giorgio e, stando alle accuse, Riela avrebbe passato in quell’occasione 30mila euro in contanti per una partita di marijuana. L’obiettivo era rifarsi nel più breve tempo possibile da un sequestro da 1650 chilogrammi avvenuto a ottobre sugli scogli della Baia del silenzio di Castelluccio, vicino Augusta. «Se avessi avuto un kalashnikov li avrei stesi tutti. Bam, bam bam», diceva Moisi intercettato e arrabbiato per il carico perso e per le difficoltà della fuga dai «neri», ovvero le forze dell’ordine.

L’Albania per il cugino del ministro sarebbe stata per anni una zona franca per fare affari. In un’intercettazione ambientale captata dai miliari della guardia di finanza di Catania è lo stesso Moisi a svelare alcuni dettagli al suo interlocutore, un siciliano titolare di una stazione di rifornimento Q8 vicino Lentini: «Se vieni in Albania – diceva – ti rendi conto che la polizia albanese è corrotta e che addirittura a volte è il capo della polizia in persona ad aiutare a caricare i sacchi». In Italia, invece, il gruppo subisce continui sequestri, come quello di 289 chilogrammi di marijuana a Palagonia. Le forniture isolane del cartello italo-albanese vengono bloccate anche al porto di Riposto o nel parcheggio del centro commerciale Porte di Catania. Dove gli inquirenti scovano un camper a noleggio imbottito di droga. Iniziano così lunghi colloqui per pianificare nuove spedizioni ed è proprio in questo frangente che Moisi parla del cugino politico riferendosi, secondo gli inquirenti, ad alcune somme da restituirgli: «Trentamila glieli devo portare a Saimir», diceva. 

Il politico viene tirato in ballo anche in riferimento all’ormai famosa automobile. Il cugino, insieme al complice Sabi Celaj, sarebbe arrivato in Sicilia anche a bordo dell’Audi intestata formalmente ancora al ministero. L’oro verde dei Balcani sarebbe finito anche nelle disponibilità di Sebastiano Sardo, noto con il soprannome di Iano occhiolino, da poco divenuto collaboratore di giustizia, ma con un passato da gestore della droga per il clan Cappello di Catania. Per gli albanesi lui era «quello con gli occhiali» con cui intavolare lucrosi affari estesi anche alle forniture di armi: «Se portiamo qualcosa per lui gli buttiamo pure qualche kalashnikov – si legge in un’intercettazione – si ammazzano tra di loro, chi se ne frega, loro li vogliono per se stessi». 


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