Sono due i moventi che mi spingono a scrivere su questo punto. Il primo: ho avuto modo di confrontarmi con Roberto Moscati, ordinario di sociologia della formazione a Milano Bicocca, all’epoca (’98) attivo e fautore di questo tipo di “apertura”. L’autorevole collega mi assicura che lo spirito di mobilitare “dal mercato” competenze ad alto tasso di specializzazione (difficilmente reperibili all’interno dell’accademia) per costruire un plafond di sapere pratico-specialistico aggiuntivo rispetto a quello istituzionalizzato, era assai diverso da ciò che poi si è realizzato. Il secondo movente è relativo alla mia esperienza di docente a contratto che si è protratta per cinque anni.
Ora, tagliando volutamente il fenomeno con l’accetta, le ipotesi sono due. La prima: i professionisti in questione non sono tali. E allora si tratta di un accomodamento tra poveri: tu che non sei nessuno fai quello che puoi fare e io ti pago quello che posso (meno di cinquemila euro lordi all’anno). Riferito al rapporto Pubblica Amministrazione-impiegato, questo fenomeno è stato definito il patto perverso.
La seconda ipotesi: l’istituzione universitaria è veramente lontana anni luce dalla realtà. Ma vi pare pensabile che un professionista di quelli che prendono il caffè alle sette del mattino e spesso la sera si portano il lavoro a casa, faccia sessantadue ore di lezione, un paio d’ore di ricevimento a settimana; le tesi; le correlazioni; le riunioni di area didattica e qualche altra cosa che non ricordo?
Certamente il narcisismo gioca un ruolo decisivo nel cedere al fascino dell’Università, ma alla lunga i casi continuano ad essere sempre due: o non si è veramente dei professionisti o la spinta narcisistica, in vista del masochismo, si esaurisce. In entrambi i casi non si è reso un gran servizio agli studenti.
La questione vera è che probabilmente l’Università, che nella maggior parte dei casi vive nell’indigenza cronica, ha trasformato un docente supplementare in un docente succedaneo. Come fa il bottegaio furbo quando scopre che tra le uova di lompo e il caviale, la fungibilità è totale e il risparmio (per lui) incredibilmente vantaggioso. I docenti a contratto non sono più dei professionisti ma dei docenti a buon mercato. Come se venissero importati dalla Cina: costano enormemente meno e completano l’offerta, come le false borse di Louis Vuitton buttate sul marciapiede. E rischiano perennemente una doppia frustrazione, come docenti e come professionisti. Ma non importa: gli studenti non se ne accorgono, le loro famiglie tanto meno.
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