E’ scritto nero su bianco. Nella relazione sul disegno di legge Bilancio di Previsione della Regione siciliana per l’esercizio finanziario 2015 inviato all’Ars ieri: il deficit strutturale della Regione è determinato «per una parte significativa dall’erosione del gettito dovuto all’applicazione del criterio del luogo della riscossione».
Ovvero, la mancata applicazione del principio della territorialità delle imposte è una delle principali cause del disastro economico in cui versano le finanze pubbliche . Lo Stato, dunque, nel trattenere imposte che spetterebbero alla Sicilia, è il principale responsabile delle pene che sta soffrendo la Regione.
L’ammissione dello status quo, in un documento ufficiale, è una grande passo in avanti. Che, innanzitutto, mostra come l’aiuto che dovrebbe dare Roma alla Sicilia per uscire dall’empasse (aiuto cui hanno fatto riferimento sia l’assessore all’Economia, Alessandro Baccei che il Presidente della Regione siciliana, Rosario Crocetta) altro non è che un riconoscimento di diritti negati:
«Dall’esame dei dati sulle entrate erariali spettanti alla Regione non risulta percepibile, a tutt’oggi, una inversione di tendenza dell’attuale situazione di crisi economico-finanziaria, che nel territorio regionale ha avuto effeti nefasti. Infatti – si legge nella relazione- l’andamento dell’entrate tributarie in Sicilia manifesta una decrescita costante, in particolar modo su quei cespiti che riflettono i redditi disponibili, quali il gettito Irpef, che continua a risentire del decremento delle ritenute sui redditi dei dipendenti del settore privato e pubblico, a causa soprattutto della mancata applicazione del principio della territorialità delle imposte».
Non solo. I tecnici dell’ufficio Bilancio, ricordano anche che c’è stato «un primo segnale di mutamento nella giurisprudenza costituzionale che con la sentenza 207 del 2014, incidentalmente, in occasione di un ricorso presentato dalla Regione siciliana, ha ripeso il principio di territorialità delle imposte, costantemente invocato come criterio da utilizzarsi per l’attribuzione alla Regione delle entrate alla stesse statuariamente spettanti».
La sentenza in questione, di cui vi abbiamo parlato qui, è stata, per certi versi rivoluzionaria. Da qui la frase «primo segnale di mutamento della giurisprudenza costituzionale». Per la prima volta, infatti, c’è stato un riconoscimento totale del diritto della Sicilia di incassare le imposte maturate sul suo territorio.
Sentenza che al momento rimane lettera morta, perché, con ogni probabilità, il Governo nazionale, vorrà vendere come forma di aiuto il riconoscimento di un diritto, già minato dall’accordo capestro firmato con il Governo Renzi con il quale Crocetta si impegna a rinunciare ai contenziosi con lo Stato.
L’applicazione del principio di territorialità delle imposte, specificano i tecnici nella relazione inviata all’Ars «potrebbe consentire alla Regione di avanzare richiesta della restituzione delle somme, affluite al bilancio dello Stato e di chiedere l’attribuzione delle entrate espressione della capacità fiscale del territorio che da oltre 40 anni vengono sottratte al bilancio regionale (Iva pr operazioni imponibili compiute ne territorio regionale, ritenute alla fonte relative ad interessi premi e altri frutticorrisposti a depositanti e correntisti da uffici postali e da sportelli di aziende ed istituti operanti nella Regione ma con sede legale fuori; ritenute di imposta perate dallo Stato o da altri Enti pubblici con sede centrale fuori dal territorio regionale, etc».
A questo proposito, è utile ricordare, i calcoli effettuati sulla mancata applicazione del principio di territorialità delle imposte (principio previsto dal nostro Statuto agli art.36-37-38) sancito dalla Corte Costituzionale.
In soldoni, come abbiamo scritto qui nel dettaglio, significa che circa 10 miliardi di euro all’anno che spetterebbero alla Sicilia vengono invece incassati da Roma. Questi calcoli frutto di una nostra inchiesta.
E sono confermati, quasi per intero, dai numeri ufficiali snocciolati nel corso del recente incontro con in deputati nazionali eletti in Sicilia promosso dal Presidente dell’Ars, Giovanni Ardizzone. In questa occasione, l’ex vice segretario genarale dell’Ars, Salvatore Di Gregorio ha parlato di 8 miliardi sottratti alla Sicilia.
Insomma, la relazione sul Bilancio di previsione 2015 inviata all’Ars, smaschera ogni bugia: altro che aiuto, negoziato o trattativa con Roma per sanare i conti pubblici. Alla Sicilia spettano di diritto quelle somme senza le quali siamo al punto di oggi. Punto in cui, un assessore all’Economia, inviato dal Governo Renzi, annuncia tagli, lacrime e sangue per i Siciliani, invece di battersi per i loro diritti.
Last but not least, come direbbero gli inglesi, per dire in ultimo, ma non meno importante, a questo quadro di scippi istituzionalizzati, si aggiungano i prelievi forzosi dal bilancio regionale, operati sempre dalla Capitale, che negli ultimi due anni ammontano a quasi tre miliardi di euro (come hanno ricordato ieri le opposizioni) e lo scippo dei fondi Pac per una cifra che si aggira intorno ai 600 milioni di euro (c’è chi dice anche di più) e che essendo destinati, in larga parte, al cofinanziamento delle risorse europee, bloccano di fatto la spesa degli stessi fondi Ue.
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