L'inchiesta su Giuseppe Calvaruso svela la presunta infiltrazione nel mondo della ristorazione tramite due teste di legno: i fratelli Giuseppe e Benedetto Amato. «Le persone come te mancano», diceva uno di loro senza sapere di essere intercettato
Il boss, il pranzo gratis al padrino e il locale Carlo V «Con te creiamo un impero e campiamo di rendita»
Un pranzo totalmente gratuito a base di pesce e bollicine nel lussuoso ristorante Carlo V di piazza Bologni. È quello di cui avrebbe beneficiato l’anziano capomafia Settimo Mineo per il giorno di Ferragosto del 2017. A osservarlo, mentre insieme alla moglie si accomodava ai tavoli, c’erano però i carabinieri. Il padrino, gioielliere di professione ma all’epoca ritenuto al vertice della nuova cupola di Cosa nostra, si sarebbe presentato ai titolari del locale spendendo il nome di Giuseppe Calvaruso, altro pezzo da novanta della mappa mafiosa del capoluogo siciliano. L’arrivo di Mineo venne annunciato, come emerge dagli atti dell’inchiesta, dalla mamma di Giuseppe Amato, uno dei titolari, insieme al fratello Benedetto, adesso arrestati e con il locale finito sotto sequestro antimafia.
«Giuseppe c’è?», chiedeva la donna rivolgendosi alla sorella di Calvaruso. L’uomo in quel momento, però, era impegnato in un pisolino. «È giunto un signore – continuava – dice che lui (Calvaruso, ndr) gli doveva prenotare un tavolo». La vicenda si chiude, subito dopo, quando la donna viene contattata dal figlio e titolare del ristorante. Amato, secondo la ricostruzione degli inquirenti, quel giorno si trovava proprio con Calvaruso. «Nell’occasione – si legge negli atti dell’indagine – la donna si premurava di fare sapere al figlio di essersi mostrata molto accomodante verso Mineo e di avere rivelato in modo esplicito un legame con Calvaruso».
Amato, secondo gli inquirenti, sarebbe stato disponibile a gestire somme di denaro per conto del capomafia di Pagliarelli. Secondo l’accusa, il tutto mettendo a disposizione un gommone, la propria carta di credito e pagando pure alcune trasferte aeree. Il rapporto tra l’imprenditore e il boss sarebbe cominciato già nel 2017. Anno in cui c’è la doppia attivazione di due carte ricaricabili «che venivano caricate da soggetti riconducibili al ristorante Carlo V». La svolta per il locale di piazza Bologni arriva anche nei redditi dichiarati: nel 2016 erano appena 16mila euro mentre l’anno successivo passano a oltre 70mila euro.
I rapporti tra i fratelli Amato e Calvaruso per gli inquirenti erano quasi alla luce del sole, e non solo perché in alcune occasioni Calvaruso si sarebbe accomodato alla cassa del ristorante. In un dialogo registrato dalle microspie, Benedetto Amato spiegava le sue intenzioni al boss arrestato alla vigilia di Pasqua: «Peppe quello che vogliamo fare insieme a te è creare un impero, poi consolidarlo e campare di rendita». «Ci sono tutte le prerogative», rispondeva il capomafia con parole da «leader». «È arrivato il momento di mettere a frutto i sacrifici». Giusto il tempo di potere fare rientro a Palermo perché in quel periodo, metà 2017, il 44enne scontava la libertà vigilata in Emilia Romagna dopo gli arresti risalenti al 2004 e al 2008. «Purtroppo, hai avuto quello che hai avuto – lo lodava Amato al telefono – Diciamo che sei mancato e le persone come te mancano. Le persone perbene come te mancano. Sei una persona di etica, di certi principi».
E, a quanto pare, disponibile anche a presentare ai fratelli il fornitore di frutta da cui acquistare prodotti. «Parla prima tu con Ciccio – spiegava Calvaruso al cognato preannunciando la presentazione degli Amato come clienti a un venditore – glielo spieghi che ci tengo io tantissimo e che sono ottimi clienti». Il boss si sarebbe occupato anche della scelta dei tessuti per i tavoli esterni del locale, chiedendo di essere informato pure dei lavori del fabbro e dei preventivi per l’ombrellone.