Il boss e gli affari dell’imprenditore di Singapore a Palermo Dal pranzo a Mondello al viaggio in Asia. «Poi ci sediamo»

«L’Italia è un Paese strano». L’imprenditore singaporiano Alan Lai Chong Meng aveva ben chiaro il concetto e per questo motivo avrebbe chiesto di non comparire direttamente nei suoi investimenti dorati in Sicilia. Affari milionari che sarebbero stati portati avanti all’ombra di Giuseppe Calvaruso, 44 anni, ritenuto dalla procura di Palermo il reggente del mandamento mafioso di Pagliarelli. Un boss manager dei due mondi: residente a Riccione, in Emilia Romagna, da tempo trasferitosi in Brasile ma con canali d’investimento ben oliati con la città Stato del sud-est asiatico. I carabinieri del nucleo investigativo lo hanno arrestato alla vigilia di Pasqua subito dopo essere atterrato all’aeroporto Falcone-Borsellino. Nelle carte dell’inchiesta, coordinata dai magistrati della procura di Palermo, vengono ricostruiti interessi, affari, pressioni ma anche contatti con diversi colletti bianchi pronti a mettersi a disposizione per il boss dei due mondi. 

Lai Chong Meng (non indagato in questa inchiesta, ndr) viene indicato come parte offesa, così come Salvatore Catalano. Quest’ultimo, originario di Palermo ma residente a Singapore, per i magistrati non è solo lo chef della trattoria Amanda, attività di Lai Chong Meng, ma anche l’intermediario per gli affari dell’imprenditore asiatico nel capoluogo siciliano. Il 2019 è un anno particolarmente caldo sull’asse Palermo-Singapore. Il 5 giugno i carabinieri monitorano un locale di Mondello in cui, a bere un aperitivo seduti allo stesso tavolo, sono Calvaruso, il pregiudicato Giovanni Spanò, e una delegazione di investitori asiatici, tra cui la moglie dell’imprenditore. L’occasione è quella giusta non solo per mostrare a Lai Chong Meng la planimetria e un preventivo di vendita di un fondo agricolo nel territorio di Misilmeri, ma anche quella per organizzare un sopralluogo a villa Gatto, un’antica dimora ottocentesca in via Umberto Maddalena. In mezzo finisce pure un pranzo al ristorante Carlo V di piazza Bologni, attività che secondo i pm sarebbe riconducibile a Calvaruso. 

«L’immobile lo prendiamo per cinquecento», diceva Catalano al boss 44enne nei giorni dei sopralluoghi. «Poi nella ristrutturazione ci sediamo e facciamo altri numeri. Questo deve essere un biglietto da visita per l’Asia». Secondo i magistrati Calvaruso avrebbe messo gli occhi sugli affari degli asiatici a Palermo proprio per il secondo step. Conclusi gli acquisti di ville e terreni sarebbe stata la volta di  ristrutturazioni e nuove costruzioni da realizzare con una sua società edile a fare da grimaldello. Un mese dopo tocca a Calvaruso spostarsi a Singapore insieme a Giuseppe Amato, titolare del ristorante Carlo V. Sono settimane frenetiche perché c’è da organizzare una nuova trasferta, a settembre 2019, di Lai Chong Meng a Palermo. «Le prospettive sono buone», diceva il boss intercettato mentre illustrava ad un amico alcune dettagli: «Cercano di fare affari in operazioni ad alta redditività […] però non cercano roba che si trova nelle agenzie immobiliari».

L’affare a Misilmeri per l’imprenditore asiatico si chiude per 710mila euro. Agli inquirenti non sfuggono due particolari: l’agenzia che si occupa della proposta d’acquisto è di una giovane donna imparentata con due pezzi da novanta di Cosa nostra in provincia. I ruderi nel terreno sono invece di una 55enne pure lei con parentele mafiose. Il 2 marzo 2020 Lai Chong ha acquistato, per quasi due milioni di euro, un palazzo settecentesco di cinque piani in corso Vittorio Emanuele, a Palermo. Sempre nel capoluogo l’altro acquisto che viene indicato nelle carte dell’inchiesta è quello di due complessi immobiliari in via dei Cassari: costo totale 230mila euro

Chi si occupa di fare da tramite con Calvaruso e Lai Chong Meng teme però di finire nelle maglie della giustizia. Spanò e Catalano, secondo gli inquirenti, oltre a concordare le versioni da fornire parlano tanto. Non solo di affari ma anche di mafia e mandamenti, delineando una vera e propria mappa di Cosa nostra a Palermo. «Chi comanda a Brancaccio?», «‘U ciolla», rispondeva Spanò riferendosi ad Antonio Lo Nigro, cugino di Filippo e Giuseppe Graviano. Le intercettazioni svelano anche i commenti su Settimo Mineo, l’anziano gioielliere che voleva ricostituire la cupola mafiosa di Cosa nostra, poi arrestato nel blitz Cupola 2.0, e di cui Calvaruso è considerato l’erede. «Un caffè non te lo offriva, un mendicante di uomo! Non è sposato, non ha figli è malvagio. Attaccato al denaro, che schifo! La mafia non è più quella di una volta, la verità è! Prima le persone si aiutavano, invece questi li sdirrubano (li rovinano, ndr)».


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