Hanno rilevato il marchio grazie a tenacia, risparmi personali e finanziamenti. Produrranno tre birre: una cruda, una speciale e una light per le famiglie. Intanto si lavora allo stabilimento, alla zona ex Asi, a Larderia inferiore. «Ci crediamo, vogliamo portare avanti il progetto», dice Mimmo Sorrenti, presidente della cooperativa
Il Birrificio Messina riparte a settembre La scommessa di 15 ex dipendenti
L’appuntamento è per la fine di settembre. Giusto il tempo di alloggiare i macchinari, definire gli ultimi finanziamenti, e Messina tornerà ad avere una birra prodotta localmente. Sebbene non sia ancora stato svelato con quale etichetta. Anzi, con quali etichette. Al momento l’unica certezza è che saranno tre, ognuna abbinata a una differente qualità. Ma a svelarle saranno i lavoratori del Birrificio Messina, nel corso di una imminente conferenza stampa.
Il cammino iniziato dopo il progressivo smantellamento della Birra Messina, fondata nel 1923, rilevata alla fine degli anni ’80 dalla Heineken e poi liquidata nel 2012 sotto il marchio Triscele, sembra adesso prossimo alla meta. Grazie a 15 dipendenti che hanno trovato il coraggio e i soldi – tre milioni e mezzo di euro – per mettersi in proprio pur di non disperdere decenni di professionalità acquisita sul capo.
«Salvo imprevisti, a fine settembre dovremmo iniziare a produrre», pronostica Mimmo Sorrenti, presidente della cooperativa fondata nell’agosto 2013. Il logo rimarrà Birrificio Messina, ma le tre etichette con le quali approdare sulle tavole della gente saranno differenti: «Produrremo tre birre: una cruda, una speciale e una light per le famiglie». Fuori dagli schemi, almeno per gli standard locali, anche le tecniche di distribuzione. «Praticheremo il porta a porta, la vendita online e la distribuzione nei locali pubblici che vorranno venderla. L’ultima tappa sarà quella della vendita al dettaglio, direttamente nei nostri locali. Di quella all’ingrosso, invece, non si parla. Almeno per il momento».
Da qui a settembre la strada appare, quindi, in discesa. Sebbene con qualche pratica ancora da sbrigare. Il Birrificio Messina è ospitato in due capannoni – entrambi da 1.200 metri quadrati, uno con 850 metri quadrati coperti, l’altro con 600 – all’interno della zona ex Asi, a Larderia inferiore. «Dopo averli richiesti e ottenuti (dalla Regione, ndr) – racconta il presidente – abbiamo avuto le necessarie autorizzazioni per la ristrutturazione. Dallo smalto alla rimozione dell’amianto sui tetti, che poi abbiamo rifatto; dalle facciate ai bagni; dalla pittura alle finestre. Adesso abbiamo finito e il prossimo 11 giugno arriveranno i tecnici ai quali abbiamo ordinato i macchinari perché stabiliscano quali portare prima». L’attrezzatura è nuova di zecca. Ci sono «una sala cottura da 50mila ettolitri l’anno, dieci serbatoi di fermentazione, il filtro, i serbatoi del lievito, la riempitrice, il pastorizzatore, l’etichettatrice, l’incastonatrice».
Sotto il profilo finanziario, «manca ancora il via libera di due leasing che abbiamo richiesto, uno all’Ircac e l’altro all’Unicredit, per alcune di queste macchine: una parte della sala cottura e una del confezionamento. Entro metà mese avremo il responso». Sorrenti è, tuttavia, ottimista: «Ci crediamo, vogliamo portare avanti il progetto». I fondatori del Birrificio Messina, in questi anni, si sono scontrati con la burocrazia e la crisi, ma hanno trovato un valido sostegno nella società civile. A incoraggiarli, una raccolta fondi promossa dalla Fondazione di comunità, alla quale ha partecipato, con una donazione, pure il Movimento 5 stelle. «Complessivamente – conclude Sorrenti – abbiamo fatto investimenti per tre milioni e mezzo di euro. Nella società abbiamo versato tutto il nostro trattamento di fine rapporto e l’anticipazione della mobilità».