C’è un manifesto della Lega Nord con un indiano pellerossa stampato sopra. Lo slogan è chiaro: «Loro hanno subito l’immigrazione, ora vivono nelle riserve. Pensaci!».
Per quanto lo sembri, non è uno scherzo. È il riflesso politico di un atteggiamento ormai generalizzato che è la paura dell’essere soppiantati dal diverso.
Per questo avrebbe senso, secondo qualcuno, che in metropolitana ci fossero vagoni per autoctoni e vagoni per tutti gli altri, e che gli immigrati venissero sottoposti ad esame psichiatrico.
Il discorso fila: i nativi americani sono finiti relegati in fazzoletti di terra, neanche fossero bestie allo zoo, gli italiani potrebbero subire la stessa sorte, soppiantati da algerini, tunisini, senegalesi, congolesi, rumeni, cinesi e chi più ne ha più ne metta.
I fatti di Rosarno, poi, hanno reso evidente il problema. Centinaia di extracomunitari che mettono a ferro e fuoco un paese intero perché diritti non ne hanno, ma ne vorrebbero.
L’ha scritto pure Vittorio Feltri sul “Giornale”, che il 9 gennaio titolava: «Ma questa volta hanno ragione i negri». E no, non è uno scherzo nemmeno questo. Lo diceva chiaro e tondo, Feltri, che «se la coperta è troppo corta per gli italiani figuriamoci se può proteggere anche gli stranieri clandestini» e quindi è da folli farli entrare nel Bel Paese. «O la piaga della clandestinità viene eliminata oppure la sua dimensione aumenta», spiegava Feltri. E concludeva con un anelito umanitario, poche righe dal respiro poetico: «È assurdo pretendere di aprire le porte agli stranieri e poi profittare della loro debolezza (dovuta alla loro condizione di clandestini) per soggiogarli, remunerarli assai meno del lecito, maltrattarli e prenderli a schioppettate perché sono abbruttiti dalla miseria, vestiti di stracci e non conoscono il galateo». S’è scordato di dire che puzzano, anche.
Ma, per continuare ad usare il linguaggio di Feltri, che accadrebbe se per un giorno intero i «neri randagi» si fermassero?
È quello che succederà oggi 1 marzo 2010, durante il primo sciopero nazionale dei migranti. Idea mutuata dai francesi, ma azzeccatissima nell’Italia e nella Sicilia di oggi. Perché, a pensarci bene, a dare un’occhiata più attenta a Google Maps, Rosarno non è lontanissima dalla Sicilia, anzi. E illudersi che il problema sia lì solo perché qui non ci sono state rivolte collettive sarebbe non vedere e non sentire, volontariamente.
A Cassibile, in provincia di Siracusa, durante il periodo della raccolta delle patate sono centinaia i migranti che lavorano nei campi, per pochi euro. Lavoro nero per neri, irregolari e non.
Il 9 febbraio scorso sono stati disposti gli arresti domiciliari per Don Carlo D’Antoni, parroco della chiesa di Maria SS. Madre, nel quartiere Bosco Minniti, a Siracusa, con l’accusa di associazione a delinquere per aver fatto ottenere falsi permessi di soggiorno ad extracomunitari.
Il coordinamento catanese per un Primo Marzo migrante ha deciso di far partire lo sciopero proprio da Cassibile. Alle 6 del mattino, la Carovana dei diritti è partita da lì, arriverà a Siracusa, attraverserà la città in corteo e poi arriverà a Catania dove sono previsti, per il pomeriggio, appuntamenti in piazza Stesicoro e sotto la Prefettura, in via Etnea.
In una nota diffusa dal coordinamento si legge: «Di fronte alla brutalità del razzismo e alla durezza della crisi sta crescendo la consapevolezza che dobbiamo autorganizzarci affinché i nostri diritti non siano negati».
Il 1 marzo 2010 è un inizio. Prima o poi, i diritti che oggi non devono essere negati saranno anche garantiti, nel Bel Paese.
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