Scorre pigro il calendario di udienze di uno dei più corposi e importanti processi cittadini sulle presunte collusioni tra mafia, politica e imprenditoria in provincia di Catania. Continua la caccia ai riscontri da parte della procura etnea delle presunte estorsioni a diverse ditte che hanno operato nel Comune di Palagonia. Accusa e difese, intanto, si preparano all'arrivo, il 4 aprile, dell'altro super testimone: il reggente del gruppo dei Mirabile, affiliato ai Santapola, da poco collaboratore di giustizia
Iblis, udienza lampo con troppi assenti Attesi i racconti del boss Giuseppe Mirabile
«Queste udienze ci costano migliaia di euro e per fare cosa? E’ una vergogna». Santo Massimino, imprenditore di Acireale imputato nel processo Iblis sulle presunte collusioni tra politica, mafia e affari nel Catanese, lo ripete sempre. Avvicina i – pochi – cronisti presenti e quasi sussurra la sua denuncia. Stavolta però le sue parole risuonano più forti nell’aula, dopo un’udienza lampo durata appena un’ora nelle aule giudiziarie del carcere di Bicocca. Tra testimoni assenti e brevi domande ai presenti, le udienze del rito ordinario si trascinano pigre in attesa della deposizione del prossimo super testimone. Dopo il boss etneo e neo collaboratore di giustizia Santo La Causa, toccherà a Giuseppe Mirabile, considerato dai magistrati a capo dell’omonimo gruppo affiliato al clan Santapaola fino al suo recente pentimento, raccontare ai magistrati le dinamiche di Cosa nostra viste dall’interno. La sua audizione è prevista per il 4 aprile.
Oggi, intanto, attesi ma assenti sono stati Fortunato Giuseppe, nominato da altri testimoni quale intermediario per diversi affari in provincia di Catania, e Rocco Caniglia, condannato a 13 anni e quattro mesi per associazione mafiosa e protagonista dei racconti di Cettina Vinci, proprietaria di una stazione di servizio a Palagonia e testimone che alla scorsa udienza ha raccontato di aver ricevuto proprio da Caniglia, amico di infanzia, una prima richiesta di pizzo. Se per Fortunato è stato disposto l’accompagnamento coatto, Caniglia ha fatto sapere con una lettera di non essere intenzionato a rispondere alle domande dei magistrati.
Presenti in aula invece Domenico e Paolo Lo Turco. Il primo, ultrasettantenne, viene accompagnato a braccetto al microfono. La voce, resa incerta dall’età, conferma che il suo proprietario è stato fino alla pensione, quattro anni fa, l’amministratore delegato della Salp srl. Azienda il cui scopo è già nel nome – società appalti lavori pubblici – e con interessi anche nel Comune di Palagonia per lavori di rifacimento strade e fognature e realizzazione banchine. Undici anni fa un ictus ha immobilizzato la parte destra del corpo di Domenico Lo Turco che, da quel momento, ha cominciato a frequentare più gli uffici che i cantieri. Al suo posto, braccio più operativo, è stato il nipote Paolo. «Avete mai avuto richieste di denaro in cantiere?», chiede il pubblico ministero Agata Santonocito. «Io sono sempre stato ligio – spiega Lo Turco senior – I miei capocantiere hanno sempre avuto l’ordine, se qualcuno si fosse presentato, di andare immediatamente dai carabinieri». Risposta apprezzabile ma vaga, secondo il tribunale.
A Palagonia, ricordano i due, in effetti una volta si presentarono «due ragazzotti». Cosa volessero non lo dissero esplicitamente. «Hanno detto solo di voler parlare con me, ma io ho capito che volevano soldi», continua Domenico Lo Turco. Invitati ad andare via, i due non si sarebbero più presentati. Circostanza impossibile da verificare perché l’unico testimone diretto, il capocantiere, è morto un anno e mezzo fa. «Conosce Francesco Ferraro?», già sorvegliato speciale, chiede Santonocito. «Certo, ci forniva il calcestruzzo». I due si conoscevano da così tanto tempo, anche per motivi politici, che Lo Turco fa poca fatica a ricordarne il soprannome: «Ciccio vampiro… No… Vampa!». Ad interessare la procura è l’entità delle fatture di Ferraro, che potrebbero nascondere un pizzo imposto sotto forma di servizi, secondo l’accusa. Ma i due Lo Turco restano vaghi: «Erano prezzi bassi, di mercato, il calcestruzzo incide per il 10-15 per cento dei costi», spiegano. Su un affare che Paolo Lo Turco stima intorno «al milione di euro».
Impossibile per la procura provare attraverso la testimonianza dei due il collegamento con Alfonso Fiammetta, condannato a undici anni e quattro mesi per associazione mafiosa nel rito abbreviato di Iblis, ed eventuali livelli successivi di Cosa nostra locale. «Non me lo ricordo questo Fiammetta. Che fa di mestiere?», chiede Domenico Lo Turco. «L’imprenditore, lo conosce?», rilancia il pm Santonocito. «Uhm… No». «E se le dico che fa il mafioso è meglio?». Ma Lo Turco non si scompone.