E' ancora una volta il centro in provincia di Catania protagonista nell'aula giudiziaria del carcere di Biccoca. Anziché la politica, ad essere indagata oggi è la libera scelta delle aziende locali nell'affidamento del trasporto dei propri prodotti agrumicoli. Una decisione viziata da minacce, secondo i magistrati, ma con pochi riscontri nei racconti dei presenti. In chiusura, ancora una voce sugli interessi mafiosi nella costruzione dei centri commerciali nel Catanese, a Misterbianco
Iblis, la mafia nel commercio delle arance «Mezza provvigione o non carichi il camion»
Al centro del dibattito è ancora una volta Palagonia, ma non per indagare la condotta dei politici locali. E’ stato il commercio dell’oro palagonese, le arance, il tema dell’ultima udienza del processo Iblis sulle presunte collusioni tra politica, mafia e imprenditoria. La fetta principale dell’economia del centro in provincia di Catania, per niente risparmiata dagli interessi della criminalità organizzata, secondo i magistrati etnei. Così come i centri commerciali nel Catanese, argomento che ha occupato la seconda parte dell’appuntamento nelle aule giudiziarie del carcere di Bicocca.
Alle domande dei magistrati hanno risposto per primi Filippo e Giovanni Zuccarello: zio e nipote, entrambi di Palagonia, titolari della Fratelli Zuccarello srl. Una ditta di produzione e commercio di prodotti agrumicoli «con un volume di affari di quattro, cinque milioni all’anno», spiega Zuccarello senior. Con rapporti soprattutto con le grandi catene di distribuzione «come Conad e Despar, che sono circa il 90 per cento del nostro lavoro», aggiunge il nipote. E’ lui in azienda a occuparsi del magazzino e dei trasporti. Ed è lui, per lo più, a scegliere le ditte a cui affidarsi, non disponendo la società di camion propri.
Una decisione impossibile da effettuare in libertà, secondo i magistrati. Che ipotizzano pressioni per l’affidamento delle commesse da parte di alcuni imputati nel rito abbreviato dell’indagine Iblis. Ma riconducibili all’imputato nel processo di oggi Enzo Aiello, ritenuto il braccio destro di Vincenzo Santapaola. «Io, ogni settimana, cercavo di accontentare sia Fiammetta (Alfonso, condannato in primo grado a undici anni e quattro mesi per associazione mafiosa) che Caniglia, il padre di quello arrestato (Rocco Caniglia, condannato in abbreviato a 13 anni e quattro mesi per associazione mafiosa ndr), dando i lavori una volta all’uno e una volta all’altro. Fiammetta con me non si lamentava», racconta Giovanni Zuccarello.
Eppure tra i due risulta un’intercettazione del gennaio 2008 in cui Fiammetta sembra non essere soddisfatto. «Piffaureddu, a simana ca trasi ti rugnu tutti cosi a tia», Zuccarello cerca di calmare l’interlocutore nella registrazione. «Non lo so. Ma ju mi meritu na cosa ri chisti ri tia?», è la risposta di Fiammetta. «Mi scusi, non capisco: lei rappresenta l’azienda che dà il lavoro – chiede il pm Fanara – Non dovrebbe essere lui a pregare lei?». «Era per non fare discussioni, nessuna costrizione», spiega Zuccarello. Nonostante, subito dopo la telefonata tra i due, sia lo stesso Fiammetta a ipotizzare l’intervento di un’altra persona: Franco Costanzo, detto Pagnotta, condannato sempre nel rito abbreviato a 20 anni per associazione mafiosa. I due, secondo i magistrati, sarebbero stati le braccia operative di Cosa nostra etnea nel Palagonese, guidati da Aiello. Che però non viene mai nominato dai testimoni.
E quella con Fiammetta è la stessa dinamica – negata in aula ma registrata dagli investigatori – intercorsa con Salvatore Sipala, mediatore nel commercio di arance e agrumi. «Forse non hai capito. Passi dall’agenzia e ni parramu a quattr’occhi. Non mi volete bene, Salvatore? – gli chiede Fiammetta in un’intercettazione – Ora mi mettu a furriari e a viriri quanta merce nesci re magazzini. Menza provvigioni l’ha dari a mia, annunca nun ci fazzu caricari mancu u camion». «Aveva paura?», chiede il magistrato al testimone. «No». «E allora come si permetteva di darle degli ordini?». «Cercava lavoro, tutto qui», spiega Sipala.
L’udienza si chiude con un cambio di scenario. Si torna a Catania, o meglio a Misterbianco, e ai lavori per la costruzione di un centro commerciale in contrada Cubba (oggi sede del complesso commerciale Centro Sicilia). A testimoniare è Filippo Di Grazia, sostituto commissario della squadra mobile di Catania, esperto in criminalità organizzata che dal 2003 al 2005 ha studiato i movimenti degli imputati Mario Ercolano, «figlio del boss Sebastiano», e Francesco Marsiglione, condannato nel rito abbreviato a 12 anni e otto mesi per associazione mafiosa. Sarebbe stato quest’ultimo, secondo le indagini della polizia, a occuparsi delle concessioni necessarie al progetto. Anche tramite presunti rapporti con Giovanni Galasso, avvocato e fratello del vicesindaco di Misterbianco Francesco Galasso sotto l’amministrazione di Antonina Caruso. Tutti e tre saranno chiamati a testimoniare nel corso delle prossime udienze.
[Foto di Il Della]