I timori dopo la sanzione all’oligarca russo della Lukoil Sindacati: «Nel petrolchimico prevenire effetto domino»

«L’auspicio è che il governo italiano attui le azioni necessarie per evitare contraccolpi sul petrolchimico. Eventuali problemi di Lukoil potrebbero fare scattare un effetto domino sulle altre compagnie». Quando il segretario generale della Cgil di Siracusa Roberto Alosi ha pronunciato queste parole, pochi giorni fa, Vagit Alekperov era ancora presidente di Pjsc Lukoil, la compagnia petrolifera russa che in Sicilia è presente a Priolo Gargallo con la Lukoil Italia srl. Alekperov, 71enne nativo di Baku, la capitale dell’Azerbaijan, ma di nazionalità russa, è stato sanzionato il 13 aprile dal governo britannico. Londra ha disposto il congelamento dei suoi beni e imposto il divieto di viaggio nel Regno Unito. Una decisione che per il momento non è stata presa da Unione europea e Stati Uniti, ma che in poco più di una settimana ha portato alle dimissioni di Alekperov dai vertici di Lukoil e ha avuto riflessi anche sulle borse.

La misura di carattere personale nei confronti di Alekperov è al momento il fatto che, dal punto di vista economico, ha fatto sentire più vicino il conflitto russo-ucraino alla Sicilia. «Non c’è nulla di concreto per adesso e quindi sarebbe esagerato allarmarsi, ma è giusto che il governo italiano tenga conto dell’interdipendenza delle compagnie che operano all’interno del petrlochimico siracusano», dice Alosi a MeridioNews, parlando della sanzione disposta nei confronti di Alekperov. «Parte di ciò che viene prodotto negli stabilimenti serve ed è acquistato da altre industrie che operano all’interno dello stesso petrolchimico». In altre parole, eventuali problemi per Lukoil rischierebbero di interessare indirettamente anche le altre compagnie che operano nel quadrilatero formato da Siracusa, Augusta, Priolo Gargallo e Melilli. Indipendentemente dalle sanzioni personali di cui è stato destinatario Alekperov, per Lukoil – dal 2013 proprietaria della totalità delle quote di Isab, acquisite da Erg a partire da fine anni Duemila – non sono tempi rosei. «Ci risulta – va avanti Alosi – che le banche già da un po’ abbiano ristretto le anticipazioni di liquidità alla Lukoil ed è stata la stessa azienda a far sapere di avere difficoltà ad approvvigionarsi di pezzi di ricambio per lo stabilimento, fatto che ci preoccupa anche dal punto di vista ambientale».

Nel nostro Paese, a interporsi tra Pjsc Lukoil e Lukoil Italia è la Litasco Sa, società del colosso che si occupa di commercializzazione dei prodotti petroliferi. Litasco, che detiene formalmente le quote sia di Lukoil Italia che di Isab, ha sede in Svizzera e, tra i tanti, un ufficio a Milano, in via Dottor Pisani. «Non sappiamo quanto il fatto che sia una società svizzera limiterebbe un eventuale inasprimento delle sanzioni», prosegue Alosi. La compagnia petrolifera, peraltro, subito dopo l’invasione dell’Ucraina da parte della Russia, si è espressa a favore di una risoluzione diplomatica delle tensioni. Una presa di posizione non scontata, considerato il clima che si respira a Mosca in questi mesi. 

Tornando, invece, indietro di qualche anno ci si imbatte in un’altra vicenda che, partita da lontano, si rifletté nella quotidianità del petrolchimico. Era la primavera del 2019, quando l’allora prefetto di Siracusa Luigi Pizzi dispose i divieti di assembamenti all’esterno degli stabilimenti Lukoil. Una decisione, che sapeva di divieto di sciopero e che fece inalberare i sindacati. All’origine di quell’ordinanza si scoprì esserci state le richieste partite non solo dall’azienda, ma anche da Mosca. A veicolarle erano stati sia l’ambasciatore Sergey Razov che il console a Palermo Evgeny Panteleev. Il primo si era rivolto direttamente all’allora ministro degli Interni Matteo Salvini. Erano tempi diversi: non c’era la guerra, la parola assembramenti era ancora fuori dal lessico comune degli italiani e i rapporti politici tra Italia – in particolar modo la Lega – e Russia erano ben diversi da quelli attuali. «Quell’ordinanza ebbe vita breve, nella sua assurdità, e l’allora prefetto poco dopo andò in pensione – commenta Alosi -. Noi però abbiamo proseguito la nostra battaglia giudiziaria, che attende il verdetto del Cga per affermare come quel tipo di decisioni non fossero lecite. Una questione di principio, se vogliamo, che però potrà servire in futuro».

Indipendentemente dalle criticità geopolitiche, per i sindacati è necessario non distogliere l’attenzione dal petrolchimico. Imboccata la strada verso la transizione energetica, e il relativo processo di decarbonizzazione, domandarsi cosa ne sarà del petrolchimico è inevitabile. A maggior ragione che gli investimenti in settori legati agli idrocarburi sono stati tagliati fuori dal Piano nazionale di ripresa e resilienza. «Esistono altri fondi a cui si può attingere per dare un futuro a queste famiglie. Fingere che il problema non ci sia non sarà la soluzione. Parliamo di attività che rappresentano una larga fetta del Pil della provincia, ma soprattutto – conclude il segretario generale Cgil di Siracusa – di oltre diecimila lavoratori e famiglie. È impensabile possa essere riassorbito in altri settori fuori dall’hub industriale».


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