I senza casa di Palermo ‘bastonati’ nel nome del principe di Palagonia

SONO I PARADOSSI DI UNA CITTA’ SENZA MEMORIA E SENZA MORALE. A QUESTO NOBILE DEI PRIMI DELL’800, PASSATO ALLA STORIA PER AVERE AIUTATO I DEBOLI, E’ INTESTATA UN’OPERA PIA OCCUPATA IN PARTE DA FAMIGLIE POVERE. MA IL GIOVANE AVVOCATO CHE L’AMMINISTRA HA DECISO DI USARE LE MANIERE FORTI CONTRO CHI NON SI PUO’ DIFENDERE

da Nino Rocca
riceviamo e volentieri pubblichiamo

Dodici famiglie da tre mesi occupano il primo piano, vuoto da anni, dell’Istituto principe di Palagonia in via Maqueda 334, acquisito per effetto della fusione con l’ex opera Pia “Corrado Lancia di Brolo”.

Dodici famiglie con 13 bambini e 2 neonati. Famiglie senza un tetto sopra la testa che, dopo essersi rivolte all’assessorato alla casa del Comune di Palermo, non ricevendo alcuna risposta, hanno deciso di occupare il primo piano, di una IPAB ( Istituto Pubblico di Assistenza e Beneficenza).

Ma la risposta del giovane presidente del consiglio di amministrazione della suddetta IPAB, avvocato Cataliotti Lucantonino del Grano, nominato nel settembre del 2013, non si è fatta attendere, con la denuncia degli occupanti e la richiesta di sgombero.

Il consiglio di amministrazione, della suddetta opera Pia o IPAB, approva la decisione del suo presidente, incurante del fatto, che il Sindaco di Palermo, da cui dipende la nomina di due consiglieri, abbia chiesto, due mesi fa, con l’approvazione della Giunta e dei capo-gruppi nel Consiglio Comunale convocato in via straordinaria, sull’emergenza casa, la requisizione delle Opere Pie che risultassero disponibili per accogliere i senza casa.

Ma ciò che è ancora di più paradossale è il fatto che l’Opera Pia di cui Cataliotti è presidente nominato dall’assessore agli enti locali, era di Francesco Paolo Gravina principe di Palagonia (nella foto tratta da palermoviva.it) il cui ritratto viene istallato il 15 maggio 2000, al Municipio di Palermo, nel Salone delle Aquile tra le immagini dei Sindaci dal passato più glorioso.

Francesco Paolo Gravina, infatti, aveva dedicato la sua vita, all’inizio dell’800, ai più poveri, alle famiglie senza casa. Il principe di Palagonia, in occasione del colera del 1823 che aveva seminato vittime tra i più poveri e soprattutto tra coloro che non avevano un tetto sopra la testa, aveva accolto, con l’aiuto delle suore della Carità, all’Albergo delle povere, più di mille tra uomini, donne e bambini.

Il principe di Palagonia, non contento di avere tolto dalle strade di Palermo tanti poveri a rischio di essere contagiati dal colera, aveva provveduto anche a creare delle piccole imprese: un laboratorio di ceramiche per gli uomini e un laboratorio di tessiture per le donne, che potessero essere, per loro, fonte di guadagno.

Francesco Paolo Gravina, in qualità di pretore di Palermo e di presidente della Commissione Centrale della Sanità, tentò non solo di trovare una soluzione al terribile problema dei senza casa, ma sollecitò le autorità cittadine a provvedere alla pulizia della città, onde evitare o diminuire i terribili effetti del devastante colera.

A questo servivano le Opere pie fondate dal principe che aveva offerto tutti i suoi beni e la sua stessa vita a favore dei poveri.

Tutto ciò, per il giovane avvocato e per il suo consiglio di amministrazione non ha alcun valore!

Pur considerando l’evoluzione subita delle Opere pie dalla legge Rattazzi del 3 Agosto del 1862, che requisiva le stesse ponendole sotto il controllo dello Stato, sino alla legislazione successivamente modificata dal 1945 al 2011, che rendeva più autonoma la stessa Opera pia, ma sotto il controllo, tuttavia, della Regione e del Comune, ci chiediamo, in che modo le IPAB intendano salvaguardare le finalità statuarie per le quali sono nate.

Sembrerebbe che le amministrazioni di alcune IPAB debbano rispondere piuttosto ai canoni di una impresa sociale da rendere produttiva per l’autofinanziamento dei suoi impiegati e dello stesso consiglio di amministrazione! In altre parole, alcune di esse somigliano sempre più ad un contenitore autoreferenziale, per pagare gli stipendi o il gettone di presenza a coloro che sono beneficati dai potenti di turno, secondo le logiche di potere dei tanti sottogoverni amministrati dalla Regione e dal Comune.

 Foto tratta da pensareliberi.com

 


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