I problemi dei piccoli albergatori catanesi Legislazione errata, pochi controlli e abusivi

«Catania è considerata la sesta città più economica in Italia per l’accoglienza turistica». Un dato che dovrebbe far sorridere, quello fornito da Santo, ma che in realtà nasce da una serie di problematiche legate a doppio filo: legislazione indulgente e controlli assenti. È quanto denunciano alcuni piccoli albergatori che operano nel centro storico etneo. «Il catanese fa la guerra al ribasso», afferma uno di loro, Carlo, gestore di una struttura che dà su via Etnea. Secondo le tariffe in città, il prezzo netto per una matrimoniale – tra cambio di biancheria, pulizie, utenze, tasse – si aggira attorno ai 40 euro. «Trovarne una a meno significa tre cose – afferma Giuseppe, comproprietario di un b&b nei pressi di piazza Teatro Massimo – Sarà sporca, sarà una struttura abusiva, il proprietario farà questo mestiere per hobby».

Il problema principale della categoria, sostengono a una sola voce, è l’eccessivo numero di abusivi. «Ti spingono a violare la legge», sbotta Santo che cura un b&b vicino via di Sangiuliano. «È lo Stato che quasi lo impone», fa eco Carlo. La causa è una legislazione che sembra andare contro lo spirito con i quali è nata la forma alberghiera del bed and breakfast. «Nelle sue intenzioni, nasce come una maniera per arrotondare – racconta Carlo – La famiglia mette a disposizione la camera del figlio andato a vivere fuori, gli anziani con una casa ormai troppo grande». Ma – dettaglio non da poco – in Italia è permessa l’attività anche ai non proprietari dell’immobile. Una sorta di subaffitto che complica di molto la questione. Basta incrociare i dati ufficiali forniti dal portale della Provincia etnea con gli annunci presenti in Rete per capire quanto siano larghe le maglie e quanto sia facile incappare in qualche operatore in nero. «Lo sanno tutti», affermano a una sola voce. «L’evasione è totale», dice sconsolato Carlo.

Altro problema è rappresentato dalle due modalità di rilascio delle autorizzazioni: annuali e per nove mesi. Per questi ultimi «non sono obbligatori né le dichiarazioni fiscali e l’apertura di partita Iva, né i controlli», continua Carlo. «Ma anche se li facessero, non saprebbero cosa controllare». «Io ho iniziato molto tempo fa, nel 2004, e allora c’era una ratio diversa», spiega Valeria. Da dieci anni gestisce una struttura nei pressi di piazza Teatro Massimo. «Si poteva fornire un servizio e non c’era questa concorrenza sleale». La normativa, da un lato, impone una rigida categorizzazione. Fino a cinque stanze si parla di b&b, fino a sei affittacamere, oltre si parla di hotel. Però «in giro si vedono annunci con b&b da 16 stanze, bagno in camera». E, parallelamente, aumentano i casi di hotel che scelgono di retrocedere di categoria, mantenendo le stesse stanze, togliendo diversi servizi e – soprattutto – pagando meno.

Le associazioni di categoria «servono solo per la quota annuale. La verità è che tra noi non c’è coesione – ammette Carlo – A Siracusa, invece, sono riusciti a unirsi e a creare un fronte comune». E alle falde dell’Etna «le strutture piccole non entrano in alcuna decisione». Eppure Catania è una città con un grande numero di piccole strutture: a fronte di 43 hotel, sono 250 i b&b e simili. «Ovviamente, Federalberghi ci considera spine nel fianco». «Serve che l’amministrazione locale volga lo sguardo verso le attività ricettive», sottolinea Valeria. «I turisti d’altronde ci sono», sostiene Santo. «Se togliessero tutti quelli in nero – conclude Carlo – guadagneremmo almeno 1500 euro in più al mese ciascuno».

 

Carmen Valisano

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