‘I fuori programma’ del Papa nel ricordo di Arturo Mari

«Il viaggiatore è un essere in attesa che non si accontenta di ciò che ha e di ciò che è». Quale frase meglio di questa riuscirebbe a racchiudere in così poche parole il vero e più profondo senso del viaggio?

Ogni viaggio compiuto non è altro che un cammino che ci arricchisce, perché ci permette di conoscere luoghi e persone, e quindi culture diverse dalla nostra. E quando il viaggiatore non è un uomo comune ma è un Papa, anzi, è Papa Giovanni Paolo II, certamente l’immagine del viaggio assume una carica emotiva non indifferente. Forse è per questo che nella sala delle Ciminiere dove lo scorso febbraio si è tenuto l’incontro con il fotografo Arturo Mari, appena lui comincia a raccontare la sua straordinaria esperienza, piomba un silenzio carico di emozione appena trattenuta.

Con la voce rotta dalla commozione, ci porta per mano nella vita di un Uomo che ha riscoperto il vero valore cristiano del viaggio – viaggio episcopale deriva dal greco έπισκοπή che significa visita – e su di esso ha incentrato la sua missione. Mari è stato per tutti gli anni del papato di Papa Wojtyla, l’occhio che permette a noi, ancora oggi, di ammirarne il carisma e il grande amore per gli altri in scatti di grande intensità, come le foto con i giovani, quella in cui bacia un bambino o quelle scattate alle sue spalle per mostrare al mondo le centinaia di persone accorse per ricevere da lui una parola di conforto, le foto preferite di Mari.

Ma ciò che più ci colpisce è che per ogni viaggio da lui raccontato (America latina, Stati Uniti, Corea, Nigeria, Angola, Perù e tanti altri), aggiunge dettagli e momenti di cui altrimenti non avremmo mai avuto notizia. Ve ne riportiamo due che ci hanno particolarmente toccati, il primo per la sua ilarità, il secondo per la sua drammaticità. Quando si trovava in Nigeria, uno dei fedeli accorsi per salutarlo gli fece cullare un koala e poco dopo il Papa cominciò una improbabile “battaglia” facendo a pugni con un canguro. In Corea invece entrò in una sala dove c’erano circa 600 lebbrosi e senza alcuna esitazione li salutò, li toccò e li bacio tutti, uno per uno. 

La commozione infine lo vince – ma per la verità vince tutti noi – quando ci racconta l’ultimo saluto con Giovanni Paolo II, esattamente un anno fa. Poche ore prima di morire il Papa lo fece chiamare nella sua stanza. Disteso sul letto, con l’aria serena di chi sa che sta per intraprendere il “vero” viaggio della sua vita, il Papa volle ringraziare, un’ultima volta, il suo caro compagno di viaggio.

Chiara Nicotra

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