Al museo di Zagabria ci si può immergere nelle acque della piccola isola. Immagini incredibili, realizzate con una tecnica speciale da Claudio Palmisano. «Immerso, rischi di vedere solo una parte. Ma con tante foto ravvicinate, elaborate in post produzione, si coglie quanto è invisibile agli occhi». Guarda le foto
I fondali di Linosa in mostra, tra basalti e tempeste Gli scatti di quella che fu creduta l’antica Atlantide
Tempeste sottomarine, praterie di poseidonie, alte pareti a strapiombo e particolari conformazioni di basalto colonnare che sembrano ergersi sott’acqua come segni di antiche civiltà. È questo il mondo sommerso di Linosa, piccola isola del Mediterraneo di origine vulcanica, raccontato negli scatti del romano Claudio Palmisano in mostra al museo Mimara di Zagabria, fino al 5 febbraio.
Un progetto lungo quattro anni, che il fotografo ha creato con una tecnica che lui stesso racconta. «I panorami che fotografo sott’acqua – spiega Palmisano – sono impossibili da vedere con gli occhi, perché la visibilità non è come sulla terraferma. Se ti avvicini a qualcosa ne scorgi una porzione, mentre se ti allontani rischi di non vedere più nulla. Ma se invece si scattano tante foto ravvicinate, come ho fatto io, e poi, in fase di post produzione, si montano ed elaborano con programmi digitali, solo allora si potrà avere l’immagine reale e complessiva».
Un metro per tre fino a un metro per sette. Sono queste le notevoli dimensioni delle foto sui paesaggi marini. Scelta non casuale, ma dettata dall’idea di «fare immergere lo spettatore nelle acque di Linosa». Più piccole quelle sulle tempeste sottomarine. Protagonisti dei suoi scatti sono una serie di panorami subacquei immortalati dai punti più suggestivi dell’isola: Secchitella, Punta Peppe Tuccio, Calcarella. Ma è la zona della Balata Piatta che resta uno dei suoi posti preferiti e in cui confessa di aver scattato la maggior parte delle foto in mostra. Situato a nord ovest dell’isola, il luogo è chiamato così perché è caratterizzato da un complesso di massi di basalto, regolarmente squadrati, affondati a circa 60 metri. «La particolare conformazione geologica – spiega – aveva convinto in passato il capitano Raimondo Bucher di aver trovato i resti dell’antica città di Atlantide».
Per Claudio Palmisano, classe 1972, il mare e la fotografia sono da sempre le passioni più grandi. «Il mio primo amore giovanile – ricorda – è stata la vela e poi, all’età di 18 anni, la fotografia». Da allora, la voglia di raccontare per immagini l’ha portato a collaborare con famosi fotogiornalisti (Yuri Kozyrev, James Nachtwey, Francesco Zizola, Marcus Bleasdale, Lynsey Addario, Adam Ferguson e altri), prestigiose riviste (Time, New York Times, National Geographic, L’Espresso) e varie agenzie (Magnum, Noor). «Nasco come fotoreporter, sono stato inviato di guerra e mi sono occupato anche di sbarchi e migranti».
Un percorso professionale gratificante, all’interno del quale si inserisce una sorprendente ricerca stilistica personale. A Meridionews parla del processo di creazione dietro ogni suo scatto. «L’immaginario collettivo associa i programmi digitali di fotoritocco a mezzi tramite cui modificare la realtà. Mentre è invece vero il contrario: l’unico modo per avvicinare una foto alla realtà è quello di ridefinire e aggiungere colori, contrasti, toni, personalizzandola con il proprio sentire. Diversamente non racconta nulla», conclude.
Considerato un’eccellenza internazionale nell’ambito della post produzione, Palmisano vive attualmente tra Roma e Linosa, ma non perde occasione per viaggiare intorno al mondo, sempre alla ricerca di nuove storie da raccontare.