I figli degli uomini

“Il mondo è oggi sconvolto dalla morte di Diego Ricardo, la persona più giovane del pianeta, il più giovane della terra aveva 18 anni, 4 mesi, 20 giorni, 16 ore e 8 minuti.”

Comincia così il film “Gli uomini della terra”, tratto dall’omonimo romanzo della scrittrice inglese P.D. James. Un film ambientato nella Londra di un non troppo lontano 2027, periodo in cui la sterilità femminile mette davanti all’intera umanità il suo triste destino. La fine del mondo non è lontana. Non nascono bambini da 18 anni e l’intero pianeta è sconvolto dal caos. L’unica città che sembra aver trovato l’equilibrio per poter sopravvivere in quei pochissimi anni rimanenti è Londra. Una città spettrale che ha instaurato un regime autoritario volto alla repressione delle migliaia di immigrati che giornalmente ne minacciano le frontiere.

Il protagonista un ex attivista, ormai triste dirigente Theo (interpretato da un ottimo Clive Owen) si trova, suo malgrado, a dover affrontare problemi più grossi di lui. Un eroe che di eroico ha ben poco. Una sorta di eroe del futuro, alcolista, rassegnato al triste destino dell’umanità in un momento della storia del pianeta in cui la vita vale ben poco, perfino in occidente.

Nemmeno la scoperta di una immigrante incinta riesce a far risollevare l’umore del protagonista, sempre pesantemente rassegnato all’estinzione della specie. Dal momento della scoperta di questo “miracolo” il film ha un solo filo conduttore, proteggere l’immigrata incinta dalla pressione del gruppo armato dei “Pesci” (attivisti violenti pronti a uccidere chiunque pur di aizzare la rivoluzione a favore dell’immigrazione).

Una lacuna del film è il repentino passaggio da scene di relativa calma, girate con inquadrature standard, a scene in stile “Salvate il soldato Ryan”, con effetti speciali godibili solo in sale attrezzate. Ottima la scelta di una fotografia spesso opaca, che rende l’atmosfera della pellicola inquietante e opprimente. Il montaggio non è però all’altezza della fotografia, poco dinamico e poco creativo. La colonna sonora azzeccatissima alterna brani originali a pezzi già esistenti che rendono il film molto meno futuristico di quanto possa inizialmente sembrare. Una scelta che pare voluta, proprio per mettere in guardia lo spettatore dal non prendere troppo poco sul serio il tema di una prossima probabile estinzione del genere umano.

Un film che poteva sviluppare meglio il tema politico dell’immigrazione e dell’infertilità, film che si ferma a focalizzare tutto sulla mancanza di bambini e sul non futuro della specie umana. La scelta del regista Alfonso Cuaron di una conclusione non banale rende il film godibile, altrimenti ci saremmo trovati di fronte ad un’americanata girata in Inghilterra.

Carmelo Greco

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