I cercatori di voti che bussavano alla porta dei Barcellonesi La candidata: «La politica è la cosa più schifosa che esiste»

«La politica è la cosa più schifosa che può esistere». Tra i cercatori di voti che sfilano alla corte dei componenti del direttorio mafioso dei barcellonesi formato da Carmelo Vito e Mariano Foti c’è anche chi sembra essere consapevole dello status quo. Nell’inchiesta della procura distrettuale di Messina, che ieri ha portato all’arresto di 86 persone ritenute appartenenti del clan mafioso di Barcellona Pozzo di Gotto (Messina), sono stati ricostruiti i rapporti tra il mondo della criminalità e quello della politica e un episodio di scambio elettorale politico-mafioso. Una manciata di voti in cambio di un posto di lavoro per il figlio, una controversia da risolvere, la garanzia di ricevere informazioni privilegiate sui lavori pubblici e possibili occupazioni al Comune. Niente pizzini, chiamate o messaggi. Per stringere accordi, il metodo è quello delle tradizionali visite a casa. In molte circostanze a bussare alla porta sono intermediari: imprenditori o amministratori pubblici che vantano anche rapporti con deputati regionali. Ma c’è anche il caso di un sindaco che preferisce non delegare e va personalmente. 

È agli arresti domiciliari Mariano Foti quando, nell’agosto del 2020, riceve la visita di due imprenditori (entrambi finiti ai domiciliari per il reato di voto di scambio contestato anche a Foti). Sono Mariano Calderone, che opera nel settore delle energie rinnovabili, e Fortunato Caranna, che gestisce supermercati. A Barcellona si è già in pieno clima pre-elettorale per le Comunali del 4 e 5 ottobre. Questo primo incontro, secondo gli inquirenti, sarebbe stato l’occasione per gettare le basi per una «rete commerciale»: l’obiettivo è creare la figura dei segnalatori degli edifici su cui effettuare i lavori previsti dall’ecobonus 110%. Una settimana dopo, i due tornano ed è Calderone a mettere al corrente Foti dei movimenti elettorali barcellonesi sottolineando di essere inserito nella segreteria politica di Giuseppe Galluzzo. Il deputato regionale di Diventerà Bellissima che dal palco della convention del partito, poco meno di tre mesi fa, ha dichiarato «noi siamo coloro che hanno liberato le istituzioni della Sicilia dalla mafia». Di lui Calderone dice di essere anche «amico da oltre vent’anni». Foti ascolta tutto e poi arriva al dunque: «A me sai che cosa mi interessa? Che si deve sistemare a mio figlio nella spazzatura». Un figlio che, potendo contare solo su un diploma di scuola media, non trova aperte le porte del mondo del lavoro. Ci pensa papà, che non è da solo. «Dopo le elezioni, gliela mando io questa ambasciata», assicura l’imprenditore. 

Mancano cinque giorni alle elezioni. Calderone e Caranna bussano di nuovo alla porta di Foti. Questa volta fanno il nome: è Carmelo Caliri (non indagato) il candidato al Consiglio comunale nella lista di Diventerà Bellissima la persona per cui si stanno cercando voti. «Come mai questa sorpresa?», chiede il padrone di casa alla vista dei due. Calderone risponde: «Con lo scadere delle elezioni…». Il boss però esprime tutto il proprio rammarico per la scarsa considerazione che gli era stata riservata in passato: «Sai come si dice? Che gli amici si fanno in tempo di pace, no in tempo di guerra». I due non si lasciano scoraggiare e rimarcano la necessità di un appoggio nel rush finale della campagna elettorale: «Il carro è tirato, ora ci sono gli ultimi dieci metri di salita […] Basta una spintarella per andare avanti e prendere aria, altrimenti capace che per un paio di voti restiamo fottuti». Bisogna già fare i conti con i pochi elettori che si recano alle urne e con i troppi aspiranti che corrono per una poltrona. Foti da un lato li rassicura ma dall’altro rimette sul tavolo la solita richiesta. «Io quello che posso fare da qua chiuso, faccio […] Voi a mio figlio non me lo avete sistemato né in un supermercato né in niente». Ed è lo stesso padrone di casa a suggerire di assumerlo in un punto vendita che sta per aprire la sorella di Caranna. L’impegno viene preso ma non mantenuto, tanto che nel febbraio del 2021 davanti all’attività viene posizionata una bottiglia incendiaria. Un atto intimidatorio che sarebbe stato ordinato proprio dal capomafia. Il candidato Caliri alla fine prende solo 319 voti e non viene eletto. Calderone – che aveva anche promesso un interessamento per fare ottenere al figlio di Foti dei titoli di studio falsi – prende il giovane a lavorare in un cantiere, senza contratto ma facendo sul suo conto bonifici per un totale di oltre 4580 euro. «Compensi – scrive nell’ordinanza la gip Ornella Pastore – che era tenuto a dare in forza del supporto, anche elettorale, che era stato fornito dal gruppo mafioso».  

Sono molteplici i rapporti – diretti e indiretti – emersi tra gli esponenti di vertice dell’associazione mafiosa barcellonese e gli appartenenti al mondo della politica. «Lui ha fatto due mandati e io gli ho fatto una campagna elettorale number one: sindaco dieci anni». Carmelo Vito Foti parla del medico cardiologo, ex primo cittadino e attuale consigliere comunale di Spadafora Giuseppe Pappalardo (non indagato). Dall’inchiesta è emerso che, mentre indossava ancora la fascia tricolore, accompagnato da un architetto, sarebbe andato a casa del mafioso con cui avrebbe intrattenuto «rapporti di cordialità». Una visita che sarebbe avvenuta poco prima delle ultime elezioni, nel 2019. Per sciogliere il ghiaccio è Foti a parlare delle sue vicende delittuose ribadendo il proprio peso criminale mafioso. A cose fatte, è l’architetto che su chiamata torna a trovarlo: «L’abbiamo portato avanti e io non gli ho mai chiesto una cortesia perché non lo voglio mettere nei guai ma tu gliela devi cercare. “Mi devi dare i lavori” così gli devi dire». Gli inquirenti hanno ricostruito che poi, tramite l’intervento di Pappalardo e l’influenza del deputato regionale e sindaco di Brolo Giuseppe Laccoto (non indagato), Foti avrebbe ottenuto l’assunzione di una persona in una società che si occupa di rifiuti nel comune del Messinese. «Io ormai ci sono dentro dalla bellezza di dieci anni. La politica è la cosa più schifosa che può esistere». In questo caso a parlare è la candidata al Consiglio comunale di Milazzo Caterina Mastroeni (non indagata) che, l’8 settembre 2019, va a fare visita al mafioso per chiedere sostegno elettorale per il candidato sindaco – uscito sconfitto ma diventato poi consigliere comunale – Lorenzo Italiano, che è già stato coinvolto in un’inchiesta sullo stesso tema ma in occasione delle Regionali 2017 e nelle vesti di intermediario

«Compare, ho una figlioccia, parlando qui tra me e voi», dice Foti senza sapere di essere intercettato alla fine di gennaio del 2020 mentre parla di politica con il suo messaggero Rosario De Pasquale (morto durante le indagini). Il riferimento è alla candidata di Diventerà Bellissima Domenica Milone (non indagata). «Le ho detto: “Non ti mettere nella politica che ti bruci e non comanderai mai“», ma l’altro lo tranquillizza: «Lei con voi non si brucia, compare, ve lo potete togliere dalla testa». E, invece, ci aveva visto giusto visto che la candidata ha ottenuto solo 141 voti senza quindi essere eletta. È andata meglio a Giuseppe La Rosa (non indagato), anche lui nella lista di Diventerà Bellissima che è diventato consigliere con 347 preferenze. Stando a quanto ricostruito nell’inchiesta, sarebbe stato il padre del candidato a chiamare De Pasquale per domandargli se fosse ancora in tempo per chiedere voti per il figlio. «Non è tardi, tu già nel mio cuore eri. Non c’è bisogno che me ne cerchi perché io ti rispetto. Puoi venire anche l’ultimo giorno da me e puoi stare sicuro», lo rassicura De Pasquale. E c’è anche lui alla cena elettorale del 4 settembre del 2020 al ristorante Le tre Caravelle. Ma è negli scantinati del locale, dove l’uomo si apparta con altri due: è lì, secondo gli inquirenti, che si concorda una strategia per indirizzare i consensi in favore di Antonino Famà, Giulia Rosina e Tindaro Grasso (non indagati). In cambio De Pasquale avrebbe voluto un uomo a lui gradito nel ruolo di assessore e che i candidati, una volta eletti, avessero rappresentato gli interessi economici del gruppo, anche con nomine di esperti consulenti al Comune. 


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