A meno di una settimana dal primo turno per l’elezione del nuovo rettore dell’Università di Catania, con le tre assemblee a Medicina, Fisica e ai Benedettini, si è consumata esattamente la metà dei sei incontri ufficiali previsti dal protocollo (tenendo conto della trasmissione televisiva finale di venerdì sera). I magnifici cinque – Vincenzo Albanese, Zaira Dato, Antonio Licata, Antonino Recca e Carmelo Strano – hanno già sopportato una maratona di quasi dodici ore, condannati (dal Decano) a trasformarsi in una compagnia itinerante di teatranti che vanno a replicare il medesimo spettacolo. La battuta è del professor Albanese, al quale – come vedremo – va senza dubbio il primato delle citazioni e delle metafore letterarie.
Se fu dunque teatro, o commedia dell’arte, cerchiamo di capire chi ha meglio interpretato la sua maschera. Inutile nascondere che è stato molto difficile appassionarsi alle repliche di un unico copione. Nell’impossibilità di una cronaca minuto per minuto, il povero cronista si soffermerà sulla genialità degli interpreti, sul canovaccio dei temi, su alcuni degli eventi notevoli e, naturalmente, sull’umore degli spettatori.
La scenografia non poteva essere più semplice. Nessuno, ovviamente, ha rinunciato alla stampella del power point, con un pizzico di maggior disinvoltura del professor Licata nel parlare a braccio. Il tutto impreziosito da un fantastico Apple-MacBook portatile di ultima generazione appartenente allo staff di Radio Zammù (e ci chiediamo come diavolo abbiano fatto a procurarselo, visto che l’ateneo ci ha ridotti a fame e sete!). Perciò va spesa innanzi tutto una parola per gli zammuriani: magnifici, impeccabili! La loro presenza ha dato quel tocco tecnologico e “democratico” che ci voleva.
Il prof. Bellomo, arbitro e cronometrista, è stato talvolta costretto ad intervenire per far rispettare le regole: “vi prego di far silenzio!”, “collega, la domanda!”. Ma nel complesso i prof sono stati molto più disciplinati di quanto non si potesse temere. Eppure lo stato d’animo dei contendenti non poteva essere più differente nel corso delle tre adunanze: guardingo al primo round di Medicina, tesissimo con tratti di nervosismo e formidabili colpi sotto la cintura durante la prima parte del secondo round di Scienze, rilassato e conciliante al turno dei Benedettini.
Partiamo dal protagonista numero uno: il Rettore in carica-candidato Rettore. Si è presentato con un sobrio sommario delle attività svolte, ha rispolverato lo stesso sito web delle precedenti elezioni (www.recca.eu), caricando anche lì le sue slides ed invitando ad utilizzarle “per conferenze e presentazioni”. Il suo è stato quasi esclusivamente un puntiglioso bilancio di due anni e mezzo di amministrazione.
Quanto al futuro, il prof. Recca ha evitato di porre temi troppo tassativi. Ha concluso i suoi interventi invitando l’ateneo a sollevare sempre più argomenti di discussione perché la sua volontà è quella di raccogliere le “proposte concrete” dell’elettorato. Ha persino ipotizzato un documento comune dei cinque candidati. Insomma, aplomb e apertura totale. Come si conviene a chi – secondo i bookmakers – nella sua posizione di aspirante al secondo mandato è il superfavorito per la vittoria.
Al primo o al secondo turno? E’ la domanda che oggi tutti all’interno dell’Ateneo si stanno ponendo. E già! Perché un imprevisto c’è stato. In primo luogo il prof. Licata, membro del Cda dell’Ateneo, ha rivelato un’eccellente presenza scenica: adottando una linea soft, ma senza risparmiare le critiche all’eccessiva centralizzazione, battendo soprattutto sui tasti dell’autonomia delle facoltà e del “rispetto scrupoloso delle procedure”. Ha difeso la politica di decentramento “in un’ottica di rete, basandosi sul consolidamento e sul rafforzamento dei percorsi di collaborazione con le istituzioni locali al fine di ampliare una comunità scientifica e culturale che integri pure le iniziative degli altri atenei siciliani”. Gli slogan sono rimasti di carattere molto generale: “innovazione”, nella struttura organizzativa, nelle tecnologie, nei processi organizzativi e gestionali e nel clima di lavoro; “equità” come garanzia sull’affidabilità di regole e procedure di riferimento; “facilità”, nel senso di operare per semplificare i processi decisionali. Tuttavia, accanto all’accento posto sul metodo, non sono mancati attacchi nel merito di alcune grandi questioni: ad esempio a proposito della gestione dei rapporti finanziari con la Kore di Enna, o della decisione di rinunciare al progetto di un nuovo Orto Botanico che avrebbe dovuto cingere di una vasta area verde la Cittadella.
Una seconda sorpresa è la prestazione del prof. Albanese, sopravvissuto agli scontri “mortali” all’interno del Policlinico, che in tutti e tre i confronti si è rivelato un osso duro. Ha seguito sempre il medesimo schema puntando soprattutto su due temi: l’autonomia e l’idea di politica. Se infatti si è sforzato anche lui di individuare i punti deboli della passata amministrazione, la stoccata decisiva è stata tutta concentrata sulla battuta “il re è nudo”. Portando alla visione della platea e commentando le “prove” (articoli di stampa), il professor Albanese ha stigmatizzato un atteggiamento a suo parere compromissorio nei confronti dell’ingerenza dei partiti: “Se si concede ai partiti e alle correnti di partito di esprimere le proprie preferenze in occasione dell’elezione del rettore, ciò diverrà un virus replicante che si insinuerà poi in tutto il corpo dell’Ateneo”. Perciò ha denunciato fortemente quello che lui chiama “il partito del Rettore” e ha rivendicato una visione più elevata della politica: “L’università ha rinunciato a dire la sua rispetto alla grave crisi della città. Ha rinunciato ad esprimersi sulla riforma della sanità e sulla riforma universitaria. La politica che ci riguarda è la libera discussione e l’intervento su questi grandi problemi, non il sostegno ai candidati rettore da parte delle correnti di partito”.
Sollecitato in maniera molto esplicita su questi temi, il rettore in carica ha scelto di “non rispondere alle provocazioni”, puntualizzando alcuni dettagli ma invitando soprattutto a non dare l’immagine di un ateneo diviso e lacerato. Per tutta risposta Albanese ha replicato tirando fuori dal suo power point citazioni letterarie sempre più suggestive. L’ultima è di Oscar Wilde: “Una carta del mondo che non contiene il Paese dell’Utopia non è degna nemmeno di uno sguardo, perché non contempla il solo Paese al quale l’Umanità approda di continuo”. Sorprendente, per un medico! Insomma, vedendo fianco a fianco il prof. Recca e il prof. Albanese, non si potrebbero immaginare due modi così diversi di interpretare il ruolo del rettore: da un lato la buona amministrazione quotidiana, il “pragmatismo”; dall’altro la rivendicazione dei valori etici di un’università “che è anche una Chiesa”.
La professoressa Zaira Dato, docente nella facoltà di Architettura, è apparsa doppiamente outsider: perché unica donna e perché giovane. E’ il candidato che si è maggiormente sforzato di diversificare il proprio discorso programmatico nel corso delle tre presentazioni, passando in rassegna di volta in volta punti diversi. La Dato tuttavia ha puntato a sottolineare le critiche nei confronti della politica del governo e si è particolarmente soffermata sul tema dei rischi di privatizzazione dell’Università. Il prof. Carmelo Strano ha esposto la sua teoria dell’ “agoracrazia”: la piazza che ha la possibilità di giudicare tutto e tutti su un livello di uguaglianza e che permette una comunicazione e una promozione dell’Ateneo verso l’interno e verso l’esterno attraverso l’editoria. E’ il candidato-filosofo che punta più di tutti a presentarsi come “diverso” e che non sembra prendere molto sul serio la propria candidatura, se non come tribuna. Gustoso un siparietto col Rettore uscente con scambio della cravatta istituzionale.
In definitiva, molta auto-rappresentazione e poche possibilità di confronto con gli elettori e tra gli stessi candidati. Né potrebbe essere diversamente, considerando i tempi e soprattutto le procedure del dibattito. Cinque assemblee su temi concordati, aperte a tutte le facoltà, avrebbero quanto meno costretto i candidati a scendere maggiormente sui problemi ed a difendere punto su punto il proprio copione. Ma così non è.
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