Hollande in Francia ignora l’Europa: “Non rispetterò il rapporto deficit/Pil”. E Renzi? Punta a distruggere l’Inps con la follia del Tfr in busta paga

NEL GIUGNO SCORSO IL CAPO DEL GOVERNO DEL NOSTRO PAESE AVEVA STRETTO UN PATTO D’AZIONE COMUNE CON IL PRESIDENTE FRANCESE. MA MENTRE QUEST’ULTIMO STA METTENDO IN DISCUSSIONE DI DETTAMI ECONOMICO-DEMENZIALI DELL’UNIONE EUROPEA, IL ‘NOSTRO’ MATTEO RIMANE PRONO AI VOLERI DI BRUXELLES E DEL FONDO MONETARIO INTERNAZIONALE. C’E’ DA STUPIRSI, POI, SE IN ITALIA LE COSE PEGGIORANO?

A Giugno il “nuovo che avanza” Matteo Renzi è volato in Francia per incontrare il presidente Francois Hollande. Dopo le passeggiate di rito a braccetto tra le siepi dell’Eliseo, i due leader si sono rivolti alla stampa pronunciando discorsi pieni di parole come “sintonia” e “accordo”. Roma e Parigi sono “unite” e hanno “gli stessi obiettivi”, hanno detto i due leader. Tanto che, al termine della visita, entrambi hanno sottoscritto un accordo per una rapida “accelerazione sulla crescita, l’occupazione e gli investimenti” in Europa.

Sono passati solo un paio di mesi e il modo di affrontare gli impegni presi nei confronti dell’Unione Europea pare essere cambiato. E non poco.

Nei giorni scorsi, Hollande, la cui popolarità in patria pare essere è scesa ai minimi storici, ha capito che era necessario un cambio di rotta. E lo ha fatto dichiarando di voler “adattare il ritmo della riduzione del deficit alla situazione macro economica del Paese”. In altre parole, il presidente francese ha detto che il suo Paese non intende più rispettare i limite del rapporto deficit/Pil imposto dall’UE (e dalla Germania).

“Garantiamo serietà” ha detto il ministro dell’Economia e delle Finanze, Michel Sapin, nel corso della presentazione del progetto di legge finanziaria 2015, “ma rifiutiamo l’austerity”.

Sembrerebbe che, alla fine, anche i francesi si siano resi conto della crescita debole di cui soffrono quasi tutti i Paesi dell’eurozona. Nel 2014, il rapporto deficit/Pil della Francia dovrebbe essere pari al 4,4%, nel 2015 al 4,3% e nel 2016 al 3,8%. Alla fine, come ha ammesso Sapin, i francesi hanno capito che la Francia attraversa un momento difficile. E per non cadere negli errori fatti da altri Paesi europei, diventati quasi schiavi di Bruxelles, hanno deciso che “bisogna accelerare gli investimenti” e smetterla di caricare di tasse e imposte i propri cittadini.

A dire la verità, pare che a comprendere che questa sia la strada da seguire lo abbiano capito in molti in Europa: anche il Portogallo ha dichiarato di non voler più rispettare il limite del 3 % e di voler tornare ad emettere moneta e, nei giorni scorsi, la Gran Bretagna ha ricordato a tutti che le leggi britanniche vengono prima dei regolamenti comunitari. E anche in Germania, Sigmar Gabriel, vicecancelliere e leader dell’Spd, nei giorni scorsi, è quasi entrato in rotta di collisione con la Merkel affermando che è necessario utilizzare “tutte le possibilità offerte da un patto che si chiama anche ‘di crescita’ “.

Vista la “sintonia” tra Hollande e Renzi, sarebbe stato naturale attendersi una dichiarazione in tal senso anche da parte del “nuovo che avanza”. Specie dopo la pubblicazione dei dati della Banca Mondiale che hanno dimostrato, se mai ce ne fosse bisogno, che la situazione dell’Italia continua a peggiorare anno dopo anno senza battute d’arresto. Lo stesso Renzi aveva fatto sperare in un risveglio dell’orgoglio nazionale quando aveva dichiarato: “Io sto dalla parte di Hollande e Vals”. Nell’UE, “nessuno può trattare gli altri Paesi come fossero degli studenti” aveva detto. Studenti che, a Ferrara come in ogni città che ha visitato, lo hanno contestato duramente.

Ma, come ormai ci hanno abituato quasi tutti gli esemplari di HOMO POLITICUS che si sono succeduti negli ultimi decenni, in Italia spesso si predica bene, ma si razzola male. Molto male. Così, invece di cogliere al volo l’occasione per far uscire tutti i Paesi europei dal vincolo del 3% (inutile e troppo pesante come hanno confermato tutti i maggiori economisti), il “nuovo che avanza” ha fatto dietrofront e, dopo aver fatto i compiti a casa e aver visto che le misure adottate (aumentare le entrate vendendo, anzi svendendo, buona parte del patrimonio nazionale, e inserire contrabbando e prostituzione nel calcolo del Pil) non sarebbero state sufficienti, ha deciso di peggiorare la situazione.

Come? Proponendo di distribuire il Tfr (Trattamento di fine rapporto) accantonato dai lavoratori nelle loro buste paga. Soluzione palesemente inutile e per molti motivi. In primo luogo perché i soldi del Tfr sono soldi accantonati dai consumatori e non aiuti concessi dallo Stato. E poi perché questi soldi non serviranno per aumentare i consumi e, quindi, uscire dalla crisi e dal periodo di deflazione che, ormai da molti mesi, caratterizza l’Italia (LINKSICILIA ne parlò già a gennaio http://www.linksicilia.it/2014/01/grande-recessione-o-grande-concentrazione-la-crisi-e-figlia-dei-monopoli-che-hanno-ucciso-le-pmi/).

Ma la cosa più grave è che la proposta del “nuovo che avanza” e dei suoi esperti potrebbe avere conseguenze disastrose per l’INPS che vedrà uscire dalle proprie ‘casse’ somme considerevoli. Con ricadute inimmaginabili sull’economia del Bel Paese.

Secondo i dati più recenti, il bilancio dell’INPS mostra che l’Istituto è sull’orlo del collasso, essendo passato da un utile di oltre 42 miliardi di Euro nel 2009 ad un passivo previsto per il 2014 di oltre 4 miliardi. Togliere dalla cesse dell’INPS le somme destinate al Tfr avrebbe conseguenze disastrose e fulminanti.

Sono molti ormai i Paesi che hanno capito che, continuando così, il rischio di danneggiare irreparabilmente l’economia nazionale è altissimo e che hanno preso o stanno prendendo seri provvedimenti. L’unico a non accorgersene sembrerebbe essere il “nuovo che avanza”, cioè Renzi. Che, però, così facendo, di fatto obbliga il Bel Paese a rimanere sottomesso ai voleri di chi vuole continuare a comandare l’Unione Europea e non solo. Come, ad esempio, il FMI che, poco tempo fa, per bocca della Lagarde, ha espressamente chiesto, anzi quasi imposto, al governo italiano di tagliare le pensioni (tanto che il ministro dell’economia Padoan ha ritenuto necessario presentare una smentita sul fatto che si trattasse di un “diktat”).

Segno evidente, questo, che chi gestisce i poteri forti vuole mettere le mani sull’INPS che è già stato quasi portato al dissesto dopo l’accorpamento con INPDAP ed ENPALS, voluto da Monti e dalla Fornero. Ora serve il colpo di grazia: la distribuzione del Tfr, che non risolverà i problemi dell’Italia né quelli degli italiani, ma eliminerà definitivamente l’INPS.

La verità è che sembra essere in atto un progetto a medio-lungo termine per distruggere l’Italia. Prima è stata abbattuta l’economia reale e il settore produttivo, poi è stato ordinato a chi era al potere (senza essere stato eletto da nessuno) di svendere i “gioielli di famiglia” (imprese statali, parti di territorio e patrimoni immobiliari) e, infine, creare le condizioni costringere il Paese a fare ricorso alle proprie riserve auree.

Ma la cosa più assurda di tutta questa vicenda è che ci sarà qualcuno che, quando apprenderà dai telegiornali la notizia della distribuzione del Tfr in busta paga, ne sarà contento e continuerà a pensare che, tutto sommato, il “nuovo che avanza” è riuscito a salvare l’Italia…

Foto tratta da formiche.net

 

 

 


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