Hockey, freesbee, arrampicata si moltiplicano gli sportivi in ateneo

Agli studenti piace farlo strano. Lo sport, naturalmente. Cresce nelle università italiane la febbre per le cosiddette “attività alternative”, discipline sportive che pur non avendo niente a che vedere con gli sport tradizionali (calcio, volley e basket in testa) negli ultimi tempi stanno riscuotendo un inaspettato e costante successo soprattutto tra i giovani. Un fenomeno in continua espansione che ha portato nel giro di qualche anno nella top ten delle attività sportive più praticate negli atenei italiani, discipline come il frisbee, il paracadutismo, l’hockey su prato e l’arrampicata. Sport che fino a poco tempo fa erano conosciuti e seguiti solo da un’esigua minoranza di appassionati, e che adesso anche grazie all’attività dei Cus (i centri universitari sportivi) sono sulla bocca di tutti.

I numeri. In Italia i ragazzi che svolgono attività sportiva all’interno delle università sono circa 280mila. Un esercito di matricole, studenti in corso e laureandi che tra un esame e l’altro sceglie di dedicarsi anima e corpo ad uno sport. Per lo più si tratta di giochi di squadra, come il calcio, il basket e il rugby, ma anche di discipline individuali, tra cui spiccano il nuoto e l’atletica leggera. Sport per sudare e vincere ma anche semplicemente per divertirsi. “Accanto a queste attività che si sono sempre svolte all’interno delle nostre università – spiega Leonardo Coiana, presidente del Cusi, il Centro universitario sportivo italiano – negli ultimi anni stanno prendendo piede anche altre discipline che racchiudono in pieno la vera essenza dello sport, cioè quella del divertimento senza l’assillo dall’agonismo e dai risultati ad ogni costo”.

Tutti pazzi per il frisbee. Da Roma a Bologna, passando per Torino e Milano, infatti, è un continuo nascere e moltiplicarsi di corsi “alternativi”. All’Alma Mater emiliana per esempio da 3 anni le lezioni di frisbee hanno incominciato ad esercitare un certo appeal tra gli studenti, forse affascinati dall’atmosfera da spiaggia che si respira durante le partite. “Il nostro è uno sport semplice ma al tempo stesso molto complesso – dice Giacomo Tenaglia, responsabile ultimate del Cus Bologna – Si gioca sette contro sette e all’interno di un campo molto simile a quello da rugby. Nel corso di una partita non c’è contatto fisico tra i giocatori e si gioca senza arbitro. Prima del risultato quello che sta a cuore di chi pratica questo sport è il rispetto delle regole e dell’avversario”.

Danza e paracadute. A spopolare negli atenei italiani anche alcune discipline “estreme” come il paracadutismo e l’arrampicata. “Era da molto tempo che cercavamo di portare nelle università sport come questi – spiega Roberto Lo Monaco, responsabile del corso in paracadutismo del Cus Torino – ma solo negli ultimi anni stiamo avendo buoni risultati. Di solito si incomincia con un lancio di prova al fianco di un istruttore da quattromila metri e poi si passa a seguire un corso vero e proprio. Chi sono i miei allievi? Per lo più si tratta di matricole e studenti dei primi anni. Andando avanti con lo studio, temo che il tempo da dedicare allo sport si vada via via assottigliando”. E se a Milano gli universitari seguono un corso di spada coreana, a Roma sono tutti pazzi per la danza. I corsi di Capoeira (danza-lotta tipica della cultura afro-brasiliana) sono sempre tra i più seguiti, mentre pochi giorni fa il Cus della capitale, in collaborazione con l’Università La Sapienza, ha inaugurato uno stage di danza Rinascimentale che ha come obiettivo quello di diffondere tra gli studenti la conoscenza del ballo di corte del XV e XVI secolo.

 

Un sogno chiamato campus. Sport e discipline che forse nessuno si aspettava potessero aver successo nelle università italiane ma che nonostante ciò ci lasciano lontani anni luce da quanto succede nei campus inglesi o americani. “Purtroppo da noi lo sport non è ancora a quei livelli – ammette il presidente del Cusi, Leonardo Coiana -. Nessuno pensa che le università possano essere dei centri di reclutamento per lo sport professionistico. Alcuni atenei si stanno muovendo su questa strada ma siamo ancora in una fase embrionale. Serve una forte politica di investimenti, a cominciare proprio dall’introduzione di borse di studio anche per meriti sportivi”.

(www.repubblica.it28 febbraio 2006)


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