Ritrovarsi in un letto di ospedale a lottare tra la vita e la morte a un’età in cui si dovrebbe pensare solamente ad altro. Avere una seconda possibilità grazie a un trapianto e portare, a distanza di anni, la propria esperienza in dono agli altri. L'importanza della testimonianza in una città dove un ragazzo su dieci assume smart drugs
«Ho rischiato la vita per mezza pasticca» La storia di Giorgia, sopravvissuta all’ecstasy
Ritrovarsi in un letto di ospedale a lottare tra la vita e la morte a un’età in cui si dovrebbe pensare solamente ad altro. Avere una seconda possibilità grazie a un trapianto e portare, a distanza di anni, la propria esperienza in dono agli altri per evitare che altri giovanissimi possano commettere gli stessi errori. È la storia di Giorgia Benusiglio, una ragazza ora 33enne, che poco più che adolescente, a causa di mezza pasticca di ecstasy, ha rischiato la propria vita diventando il primo caso del genere a finire alla ribalta sui media nazionali. Questa mattina la giovane donna ha condiviso la propria esperienza con i ragazzi del liceo artistico Catalano, nell’ambito di un’iniziativa organizzata dall’Ipasvi, il Collegio degli infermieri della Provincia di Palermo.
«Quando ero in ospedale – ha raccontato Giorgia – pensavo: “Se ne esco viva voglio parlarne con tutti”». Un desiderio di condivisione preso come una missione dal padre della ragazza, che ha iniziato così a girare per le scuole e incontrare i coetanei della figlia per sensibilizzarli sul reale pericolo che si corre anche solo assumendo piccolissime quantità di una delle cosiddette smart drugs. A Palermo un ragazzo su dieci le assume, convinto che le droghe realmente pericolose siano l’eroina e la cocaina, che queste sostanze non creino dipendenze e soprattutto che non possano uccidere.
«Non avevo particolari problemi, vivevo in una famiglia serena ma volevo provare per curiosità – continua Benusiglio -. La pasticca che mi ha quasi uccisa non era la prima che assumevo. Mi era andata bene la prima e la seconda volta, non avevo alcuna ragione per pensare che la terza mi sarebbe stata quasi fatale, ma sono stata fortunata. Fortunata perché anche se adesso ancora arranco fisicamente, la mia mente è rimasta lucida e non ha riportato conseguenze, mi sono laureata e da anni mi impegno per questa causa. Ad altri, purtroppo è finita molto peggio».
Per una settimana, dopo l’assunzione della droga, Giorgia avverte dei disturbi fisici non rilevanti fino a quando diventa gialla come un limone. La diagnosi è epatite fulminante di origine tossicologica: in appena 7 giorni il fegato era andato in necrosi, tanto da rendere indispensabile un trapianto. Ma l’operazione fatta per salvarla non riesce perfettamente. La devono riaprire, altre cinque ore. Il fegato è più grande delle dimensioni ideali, opprime vena cava e polmoni: Giorgia resta un mese e mezzo in terapia intensiva. Ancora oggi vive grazie ai farmaci antirigetto e ha meno globuli bianchi. I continui controlli le hanno salvato la vita una seconda volta quando un tumore maligno, altra conseguenza remota del suo stato di trapiantata, è stato identificato per tempo e vinto.
«Essere sopravvissuta è stato un dono che non poteva essere sprecato – ha detto oggi – così mi sono rimboccata le maniche per far conoscere a quanti più giovani possibili la mia esperienza, con la speranza di evitare episodi simili». Una storia, la sua, che da parte degli studenti palermitani ha ricevuto un feedback assolutamente positivo. In un’aula magna gremita le parole di Giorgia Benusiglio sono state seguite con estrema attenzione, in un silenzio irreale. Niente smartphone e chiacchiericcio e qualcuno non è riuscito a trattenere le lacrime dopo la proiezione di un filmato con le foto del calvario della giovane milanese e di Alessandra, la ragazza da cui Giorgia ha ricevuto il fegato che la tiene in vita, accompagnate dalla lettura di una lettera inviata ai giornali poco dopo il tragico evento dal padre, scomparso un anno e mezzo fa.
Molto acceso il dibattito, la relatrice non si è sottratta neppure alle domande più spinose. «Tutti i giovani sono informati sulle droghe – ha concluso – ma spesso non prendono queste informazioni da canali ufficiali. Ci ho messo molto per affiancare mio padre in conferenze del genere, ho dovuto lavorare molto su me stessa, ma ora sono qui e non c’è domanda troppo personale o troppo imbarazzante alla quale dare risposta».